C'è tutto Valentino Rossi e anche di più nella lunga intervista concessa dal pilota pesarese a "Riders". Nel decimo anniversario della nascita della VR46, fondata nel febbraio 2008, il pilota della Yamaha racconta il suo mondo a cominciare dal grande amico Marco Simoncelli: "Con lui eravamo molto amici, stavamo insieme quasi tutti i giorni, almeno cinque, sei giorni a settimana. Quasi sempre, finito l’allenamento, andavamo a cena a casa di Carlo Casabianca con il Sic che portava il sushi e che ne mangiava il doppio di noi e noi che lo mandavamo a…. Era bello".
Poi l'incidente in Malesia: "Essere anche coinvolto nell'incidente è stata una cosa devastante. Difficile da superare personalmente, ma non ho mai pensato di smettere. Mi è dispiaciuto però essere lì. Magari se fossi stato due moto più avanti sarebbe stato un po’ più facile, ecco. Però con il tempo passa tutto e quando penso al Sic ho solo ricordi positivi. Alla fine è andata così e non ci si può fare niente. Sono andato avanti per amore. Sennò avrei già smesso. Perché una situazione come quella dell’incidente di Marco non la superi. Ero già grande, avevo vinto dei Mondiali, potevo dire basta. Ho cercato di dividere le due cose, il dolore e quello che si deve fare per superare. Poi ho pensato alla carriera, che volevo continuare, volevo tornare in Yamaha e tornare a vincere".
Sulla crescita incredibile di Marquez Rossi parla cosi: "È impressionante quello che fa Marquez, anche perché non cade più... L’anno scorso si è salvato talmente tante volte che non può più essere un caso. Per prima cosa, secondo me lui si è adoperato per migliorare questa tecnica. Il suo stile di guida lo aiuta. Non so se è naturale o ci ha lavorato. Lui mette il suo corpo fra la moto e l’asfalto, usandolo per non cadere. Prima di lui non era mai successo. Secondo me non è l’elettronica, ma la moto. Quando succede a Pedrosa, cade. È la moto, secondo me, che è fatta in un modo che quando la ruota davanti si chiude continua comunque ad appoggiare. Questo succedeva anche prima di Marquez. A Stoner, per esempio. Pensiamo anche all’incidente del Sic, con la moto che ha continuato a curvare... Un’altra moto, tipo la nostra, se chiude davanti, la ruota tocca la carena e non la tiri più su. La Honda, magari per il V, tende a rimanere appoggiata per terra. Quindi Marquez, gli è successo una volta, due, tre e alla fine si è inventato un modo per ritirarla su".
Impossibile non notare il classico momento di raccoglimento che Valentino fa vicino alla sua moto prima di scendere in pista. Ma come nasce? Il pesarese risponde cosi: "Nasce dal Campionato italiano dei primi anni, non avevo la tuta su misura e quando partivo mi dava fastidio. Quindi facevo quel movimento, per metterla a posto nelle ginocchia e all’altezza del sedere. Facevo un piegamento, poi mi sono attaccato alla pedana. È diventato un rituale, anche se poi la tuta me l’hanno fatta apposta. Non è una preghiera, ma un momento di concentrazione. Perché quando si sale in moto, sia da corsa che da strada, ci deve essere uno stacco. È una cosa pericolosa, devi essere concentrato al 100%, lo faccio per dimenticarmi di quello che c’è stato fino a lì e pensare solo a guidare".
Come detto, dieci anni della VR46 Academy, un sogno diventato realtà: "L’Academy, dice Vale, è l’aspetto che ci piace di più, fra tutto il resto. Ci dà gusto farla. Nasce tutto da Marco Simoncelli, che nel 2006-2007 era in crisi, non andava forte e mi diceva: "Vale, sono nella m…. e non riesco a cavare un ragno dal buco, mi fai vedere come ti alleni? Mi dai una mano? Ci alleniamo insieme?". Io ero amico di Marco, però come tutti eravamo molto gelosi del nostro modo di preparare le gare. Eravamo titubanti. Poi alla fine Sic era simpatico e mi sono detto: "Se c’è qualcuno che mi fa compagnia quando mi alleno o quando vado a girare con la moto da cross è bello". Ho pensato fosse un modo per crescere e diventare più forti. Da lì nasce l’Academy.
Nel frattempo arriva Franco Morbidelli e poi purtroppo arriva l’incidente del Sic. Quindi, anche un po’ per ricordarlo e portare avanti tutto questo in suo onore, abbiamo proseguito con il progetto e dopo Morbidelli c’è stato mio fratello, che aveva iniziato a correre con il suo babbo e gli chiedevo: "Ma sei sicuro?" mi sembrava strano. E poi il resto è venuto di conseguenza, in modo naturale. Tipo Migno, nel paddock lo vedevamo girare in bici e ci faceva ridere, perché era piccolino piccolino, e allora ci siamo detti: "Pigliamo anche Migno e diamogli una mano". Quindi, non voglio dire che sia stato tutto casuale, ma è andata così", chiude cosi Valentino.