La rivoluzione è un concetto astratto, utopisticamente distante dalla realtà ma allo stesso tempo cosi vicino ad essa da diventare incompiuta. Provate a pensare al concetto rivoluzionario di una forma mai applicata prima. Anzi mai pensata prima. Provate ad assimilare i capisaldi del mistero ad una sfera riportando, magari, le lancette dell’umanità al 1974, in Germania e, in particolare, nel microcosmo olandese che esula dal mondo. Il ’68, anno spartiacque nella storia dell’uomo, ha radicalmente cambiato il modo di concepire qualsiasi cosa sul pianeta ed ecco che, anche nel calcio (filo conduttore della vita) nasce il rivoluzionario “Calcio Totale”.
Nel 1974, infatti, le squadre olandesi vincono da quattro anni consecutivi la “Coppa dei Campioni” con l’Ajax che si è portata a casa le ultime tre. In quel mistico agglomerato di fenomeni, nell'estate del 1973, si sta votando il capitano che dovrà guidare la squadra nella stagione che dovrà cominciare: la nomina di un certo Crujff sembra scontata ma i suoi compagni votano contro e la dissoluzione di una delle più grandi macchine di calcio di tutti i tempi comincia li, con una sola parola: Barcellona. Qualche mese dopo, però, c’è tempo per un ultimo grande show, di un band reunion e di sette concerti. Malinconici e struggenti, a tratti sognanti nel primo Mondiale miliardario che si gioca in Germania.
Già, sono sette sinfonie in cui l’Olanda insegna agli alunni arrivati in Germania cose che non avevano mai visto, qualcosa distante anni luce e non replicabile nemmeno nella galassia più lontana. Le sinfonie sono sette dove a cadere, tra le altre, sono Uruguay, Argentina e Brasile. La più bella, però, è l’ultima ma dura soltanto 60 secondi ed è contro la Germania, nella finale annunciata. 14 passaggi in successione, prima che il “14” acceleri e di essere steso in area di rigore. Penalty e 1-0 Olanda grazie a quel fuoriclasse di Neeskens, il primo calciatore box to box. Non poteva iniziare meglio in Baviera ma i “tulipani”, adesso, voglio toreare i tedeschi ma la scelta non è delle più intelligenti visto che se c’è una squadra al mondo in grado di arrivare nella partita è proprio la Germania.
E infatti il rigore di Breitner riporta il risultato in parità. La Germania arriva e quando lo fa è un onda d’urto che non lascia spazio a repliche, nemmeno a quelle di chi ha lasciato le briciole agli altri nel proprio cammino verso la finale. Già, si sta giocando una finale e il primo tempo non può dirsi concluso perché, nel finale, Gerd Muller raccoglie un cross dalla destra e insacca per il sorpasso dei tedeschi. Mancano ancora 45’ ma il gol del “piccolino” attaccante del Bayern Monaco stronca le idee di un’Olanda incapace di giocare il suo calcio, di trovare quegli spazi che vengono coperti di bianco e nero, da una Germania che, vent'anni dopo Berna, ipnotizza una delle più grandi macchine di calcio della storia del calcio. L’Olanda, al pari dell'Ungheria di Puskas, resta nella leggenda ma con un proiettile tedesco conficcato nell'anima.
Dal primo Mondiale super-blindato a quello che, con tutta probabilità, è stato il più pilotato dei venti disputati fino ad oggi. Si gioca in Argentina e la Nazione vive in in un'atmosfera cupa e tesa a causa della situazione politico-sociale a seguito dell'instaurazione nel 1976 di un oppressivo regime militare che controlla la manifestazione. Non è un caso, dunque, che ad arrivare in finale siano Argentina e Olanda. Ma come ancora i Tulipani? Si, ci sono ancora loro che nonostante l’assenza di Crujff (rifiutatosi di partire per timori sulla propria sicurezza personale) riprendono da dove avevano lasciato (e cosa aveva lasciato) anche se il cammino non è propriamente idilliaco almeno all'inizio: sconfitta con la Scozia e qualificazione strappata grazie alla differenza reti. Il 4-3-3, solo sulla carta, del tecnico Ernst Happel comincia a carburare nel secondo turno in cui “Gli Arancioni” chiudono il girone in prima posizione battendo l’Italia nel match decisivo, giocato il 21 giugno: 2-1 e finale per Neeskens e compagni.
Di fronte, come detto, non può che esserci l’Argentina che ha nel Mondiale l’unica occasione per avvicinare il generale Videla ad un popolo senza speranze ai cui aggrapparsi, forse soltanto una. Si gioca il 25 giugno al Monumental, di fronte a ottantamila spettatori, e dopo trentotto minuti di rari squilli e tanta lotta i padroni di casa passano in vantaggio con Mario Kempes. Per l’Olanda è l’ultima occasione di portare a casa quella Coppa, sfuggita quattro anni fa, mentre per l’Argentina è l’occasione della vita (e per vivere) ma al minuto 82, quando Nanninga mette dentro la rete dell’1-1, il gelo scende su tutta la nazione. Freddo pungente che rischia di assiderare l’intera Argentina quando Rob Rensenbrink colpisce il palo. E’ la sliding-doors della partita perché ai supplementari, caratterizzati da poco calcio e tanti calci, l’Argentina torna avanti con Kempes e nel finale chiude i conti con Bertoni centrando il primo Mondiale, uno dei più discussi sempre.
L’Olanda resta flebile e intontita, nella stessa situazione psicologica di quattro anni prima: da Muller a Kempes, da Monaco di Baviera a Buenos Aires. Nel mezzo la malinconica e struggente consapevolezza di aver cambiato per sempre il gioco del calcio senza assaporare mai l’odore dell’oro, senza poter mai poggiare i piedi sul tetto del mondo pur vivendo nella leggenda per sempre.