La bellezza di un foglio bianco sta nel fatto che non ha confini, non può essere delimitato da alcuno tipo di conseguenza. La bella del calcio, inteso come arte contemporanea, sta nel fatto di non poterlo catalogare come sport qualunque, come qualcosa che abbia la residenza in una categoria ben definita. Il prologo è d’obbligo, necessario per poter descrivere una di quelle cose che può impiegare cinque minuti o dieci anni, una di quelle cose che a volte scavalca la fisica, il limite umano e la genealogia di quest’arte. Sui social si può trovare di tutto e di più e questo lo sappiamo, dalle più assurde corbellerie alle poche cose serie che il mondo del terzo millennio regala su queste piattaforme.
Un angolo aperto, per esprimere un dibattito e per ringraziare qualcuno di aver fatto vivere i seguaci di quest’arte nell'epoca di due che, definirli esponenti, sarebbe riduttivo: Leo Messi e Cristiano Ronaldo o, se preferite, Cristiano Ronaldo e Leo Messi. E’ uno scioglilingua che da almeno 4000 giorni accompagna le cerimonie di ogni tipo, che scandisce l’eco delle nostre voci nei dibattiti del lunedì e che allarga le nostre pupille ogni volta che ammiriamo le gesta di coloro che la storia non l'hanno scritta. La storia l’hanno presa, appresa, studiata e scavalcata in quell'anello di paradiso chiamato Leggenda. Come ogni cosa che venga attratta da centro della terra il pallone cambia nel corso negli anni e, in questo caso, è mutato per mano di due che hanno alzato l’asticella a livelli sconosciuti prima d’ora, anche per gli assatanati della nostalgia.
Era un pomeriggio del 2008, studiavo per un compito in seconda media e Cristiano alzava il suo primo Pallone D'Oro, poi il poker di Messi, la doppietta di Ronaldo, l'acuto dell'argentino e l’altra doppia del portoghese. Sono passati dieci anni e nulla di umano è riuscito a frapporsi nel loro duopolio, salvo qualche rara volta in cui altri avrebbero meritato (vedi 2010 e 2013). E’ un punta di fronte a due iceberg, una competizione che continua ad andare oltre il significato della parola stessa, è un filo che uno tiene per spingere l’altro ad attrarlo verso di se, una calamità che unisce due mondi differenti.
Da una parte c’è il genio, quello con il mancino di Dio o di Buddha, un visionario del rettangolo verde che ferma il tempo a ogni tocco, ad ogni lampo ed ogni magia che possa passargli in quell'istante nel cervello. Dall'altra c’è una macchina da guerra, un Attila buono dei nostri giorni e, forse, l’atleta del secolo per dedizione e professionalità, una voglia inumana di superare se stesso. Una sconfinata fame per il gol, per il suono della rete che si gonfia, per la capacità di essere attratto da quell'oggetto sferico. Entrambi lo adorano e lui adora loro. Baciati dal talento, umani all'anagrafe e con storie diverse da sembrare simili, impossibili da intaccare.
"Perché lo vincono sempre loro due?". Scrive qualche genio sui social, la risposta migliore è la statistica e con Messi e Ronaldo si può scrivere un libro solo di numeri e trofei. Qualcosa che va oltre l’immaginazione, qualcosa che ci sta cullando per dieci anni, qualcosa che dovrebbe cancellare stupide e improduttive discussioni su chi sia il migliore. Perché alla fine stiamo assistendo a un dualismo contemporaneo che non tornerà più, la capacità di superare se stessi ogni anno. La capacità di confondersi con gli umani quando di umano hanno ben poco, forse quel sorriso e quella stima che hanno l’uno dell’altro. Dopo un prologo corposo la conclusione dovrebbe ricalcare lo stesso stile ma questa volta basta una parola che chiuda 10 anni di un qualcosa di indescrivibile. Leo e Cristiano, grazie.