Se provaste a chiedere ad ogni essere umano della Terra quale sia il sinonimo di sicurezza, potete star certi che la maggior parte di loro risponderebbe con un luogo: la casa. Non tutti però perché, come in tutte le cose, rimane fuori una piccola parte dimenticata da Dio e, allo stesso tempo, bistrattata e contesa in nome di un qualcosa che non sappiamo cosa sia. Polvere, grigio e animi squarciati dalle bombe sono i colori e le sensazioni che si respirano in quell'inferno Dantesco dalla notte dei tempi, un periodo indefinito in cui la sicurezza e il rifugio sono stati ospiti sgraditi della follia altrui, di chi non contempla la pace vedendola solo come un'entità nascosta. Qualcosa di malvagio da eliminare ed estirpare come erbacce incolte.
In una terra-fantasma, in quel non luogo cosparso di morte e putrefazione c'è ancora qualcosa in grado di regalare una speranza. Qualcosa in grado di permettere ad ogni bambino di guardare oltre l'orizzonte, di far credere ad ognuno che la propria esistenza non può cessare nel 2017, per la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato nell'era sbagliata. E' un presente polveroso, cupo e senza ritorn,o ma basta una scintilla per calamitarsi nel futuro e credere ancora che ci sia ancora qualcosa per cui combattere, ma senza armi. Basta un pallone, basta una Nazionale che ieri, all'ultimo secondo dell'ultima partita, si è guadagnata la possibilità di giocare uno spareggio per il Mondiale 2018. Basta crederci e non darsi mai per vinti, basta essere Siriani.
Già, perché la Siria è un qualcosa che da tempo non esiste più, c'è nelle carte geografiche ma nella realtà è solo un idea dei folli, un obiettivo da eliminare. Ieri un barlume di speranza, una luce si è accesa a Teheran quando, all'ultimo secondo della sfida contro l'Iran, Al Soma ha messo in porta la palla del 2-2. Un pareggio che vuol dire play-off contro l'Australia, vuol dire che si può sognare ancora nonostante una guerra. Si può pensare ancora di volare in Russia anche se la strada è più che dura, ma poco importa, perché c'è la consapevolezza di lottare e dare tutto per una Nazione che non esiste più geograficamente e i suoi abitanti si dividono tra la terra e il cielo - e sono più quelli che sono li sopra.
Sarà dura ma nel pianto collettivo dei giocatori, degli assistenti e dell'allenatore c'è tutto quello che non si può spiegare a parole. C'è la netta contrapposizione a chi pensa ancora che questo sia solo uno sport, sciocchezze. E' un pianto liberatorio, un grido di gioia per proseguire questo sogno senza conoscere la durata e le soddisfazioni che questo porterà. Le delusioni no, quelle non ci saranno e non potranno mai esserci in quel (non) luogo che sogna il Mondiale, una vittoria contro la Guerra e i suoi soprusi.