Eccola, la luce in fondo al tunnel. Lo diciamo sottovoce, ma ora la (intra)vediamo. Dopo anni di buio profondo, l'Italia del calcio si sta accorgendo che il futuro potrebbe non essero così nero come si pensava fino a qualche mese fa. E' questa l'impressione che resta dopo questa finestra dedicata alle nazionali, questo è ciò che ci hanno detto la trasferta in Liechtenstein e la serata di gala a San Siro contro i campioni del mondo tedeschi. C'è vita, quindi, dopo la generazione dei Buffon, dei De Rossi, di coloro, insomma, che stanno sparando le ultime cartucce e che presumibilmente dopo il Mondiale del 2018, al quale peraltro dobbiamo ancora qualificarci, chiuderanno la loro parentesi azzurra.
E se l'avvio della gestione Ventura aveva destato qualche perplessità, con la gara contro la Francia e l'imbarazzante primo tempo contro la Spagna a fare da campanelli d'allarme, questi ultimi due match hanno invece lasciato una coda di cauto ottimismo. Nessun trionfalismo, c'è da lavorare, e tanto, ma al fondo tunnel dell'involuzione tecnica nel quale era piombato il nostro movimento sembra esserci luce. Partiamo dal principio, da quella porta dove l'eredità di un mostro sacro come Buffon pare in mani più che sicure, quelle di Gigio Donnarumma: la Francia aveva bagnato il suo debutto, la Germania ha salutato la sua presenza numero due. Due gare non casuali, utili per farlo abituare al clima di certe sfide e a quelle serate di cui, si spera, sarà protagonista nei prossimi anni (e nelle prossime estati, soprattutto). E poi la difesa, quel reparto che da sempre rappresenta il fiore all'occhiello della nostra scuola, una scuola che ha formato monumenti come Scirea, Baresi, Maldini, Nesta, ma che sembrava aver perso la "produttività" di un tempo. Romagnoli e Rugani, invece, hanno dimostrato che per il dopo-Barzagli si può stare sereni: al fianco di Bonucci, ormai una certezza a livello internazionale nel ruolo, i due crescono bene, eccome se crescono. E la "prosecuzione della specie", una specie protetta, quella dei difensori centrali, con loro sembra al sicuro.
Qualche grattacapo in più, inevitabile ammetterlo, potremmo averlo a centrocampo, reparto nel quale, fatta eccezione per un Verratti che comunque ancora non si è consacrato in azzurro, sembra mancare un elemento di caratura internazionale capace di raccogliere l'eredità di Pirlo e, in un secondo momento, di De Rossi. Non resta che attendere rinforzi dall'Under 21, ed ogni riferimento a Marco Benassi è assolutamente voluto.
A Vaduz e a San Siro, però, a brillare oscurando tutti gli altri interpreti è stata la stella di Belotti. Il Gallo sta convincendo tutti: sarà lui il centravanti titolare dell'Italia nella prossima decade. L'attaccante del Torino ha tutto per impadronirsi della maglia azzurra con il numero nove sulla schiena: forza fisica debordante, senso del gol, spirito di sacrificio, la testa giusta per rimanere umile. Lo abbiamo cercato per anni, peregrinando da Balotelli a Zaza, passando per Pellè, ma ora, finalmente, potremmo averlo trovato, il centravanti del futuro (nonchè del presente). E l'intesa con Immobile, affinata nei sei mesi di convivenza granata, alimenta ancor di più le speranze.
E poi tanti altri talenti in rampa di lancio, in cerca del definitivo salto di qualità, da Zappacosta a Bernardeschi, passando per Insigne, che nel 3-4-3 sperimentato da Ventura potrebbe tornare utile, e per tutti gli interessanti giovani dell'Under 21 di Di Biagio.
Ultimo, ma non meno importante, il lascito della gestione Conte: la maglia azzurra è tornata ad essere un onore, non un fastidio. Il tasso tecnico non è di certo quello dei tempi d'oro, ma l'impressione è che l'Italia sia tornata a schierare ragazzi affamati, orgogliosi della casacca che indossano: la nazionale corre, suda e lotta su ogni singolo pallone. Anche contro una squadra modesta come il Liechtenstein, anche in amichevole, due impegni che l'Italia, fino a non molto tempo fa, avrebbe quasi sicuramente snobbato: anche da qui passa la rinascita.