Piqué. Ramos. Piqué. Passaggio rasoterra. Passaggio rasoterra, di nuovo. Busquets. Appoggio ad Iniesta che si stacca, la porta per qualche metro ed allarga su Nacho Monreal. Passaggio corto. Appoggio indietro. Busquets. Passaggio rasoterra.

Se le parole precedenti potessero prendere vita, diventando una sorta di animazione riproducibile, basterebbero per raccontare gran parte dell'andamento di Albania-Spagna. Certo, nessuno si sarebbe aspettato i padroni di casa all'arrembaggio, e difatti la partita ha rispettato i pronostici, con la Roja capace di tenere il pallino del gioco (71% di possesso palla) che ha però dovuto aspettare il secondo tempo - e la leggerezza di Berisha - per sbloccarla con Diego Costa e chiuderla col subentrante Nolito. Niente di nuovo sul fronte occidentale insomma, se quel fronte è la patria del tiki taka. Infatti, all'indomani dell'importante vittoria esterna con annesso primato nel girone, a fare più rumore tra i media sono i problemi fisici di Sergio Ramos e quelli "estetici", se vogliamo ironizzare, del mistero (poi smentito da tutte le voci coinvolte) della manica tagliata di Gerard Piqué. 
Eppure, la prestazione della Roja offre tanti spunti interessanti.

Tutti, nella penisola di Re Filippo IV ma anche al di fuori, erano particolarmente interessati alla terza uscita ufficiale da CT di Julen Lopetegui. L'ex-Porto, dopo la goleada in Liechteinstein ed il pareggio contro la nazionale azzurra di Ventura, era atteso alla prima prova del nove, e l'ha affrontata forte delle proprie idee. 
Gli spagnoli sono scesi in campo con qualcosa di totalmente diverso dalla gestione Del Bosque: non più 4-3-3, ma una sorta di 3-3-3-1 che sostanzialmente ha portato tutti gli uomini a ridosso della metà campo avversaria, lasciando a Sergio Busquets lo spazio per arretrare ed impostare ed ad Iniesta quello per mettere in piedi i suoi trucchi da "illusionista" in ogni zona di campo. Tutto intorno, un caos ordinato. Ma andiamo con calma.

Il modulo è di certo strano, ma non totalmente avulso da quello che è il calcio moderno: innanzitutto Piqué, Ramos e Nacho Monreal, tre difensori che giocano egregiamente la palla, sostanzialmente incaricati di essere i primi smistatori. Davanti, un mediano che possa fornire schermo difensivo ma allo stesso tempo abbassarsi da "falso" quarto di difesa per moltiplicare le linee di passaggio ed alleggerire l'eventuale pressione. Se poi per il ruolo in questione si parla di Sergio Busquets, viene tutto più facile. Ora, da qui in avanti la tendenza europea vorrebbe due mezzali, due ali che fanno l'intera fascia, e due punte a completare quel 3-5-2 tanto caro alla Juventus ed ai suoi cinque scudetti, per dirne una.
Ma ecco che l'ex portiere basco scompiglia le carte in campo: due mezzali ci sono, ma sono giocatori di fiato e muscoli come Thiago e Koke; di punta c'è Diego Costa a fare reparto da solo, e due ali tecniche e rapide come David Silva e Vitolo, micidiali negli inserimenti con e senza palla. Infine, la matrice prima che permette l'esistenza di tutte le combinazioni possibili: don Andrés Iniesta, uno che sembra comunicare telepaticamente con la palla e che, liberato dagli obblighi di copertura, può essere investito della licenza di riceverla e giocarla quando, dove e come vuole. E proprio da lui parte quel caos ordinato di cui sopra: movimento, passaggi, palla ferma il meno possibile. Tutti e dieci i giocatori senza guanti sono coinvolti nella rete di passaggi, dalla metà campo all'area di rigore, da destra a sinistra, con l'obiettivo di avvolgere gli avversari in un tifone vorticoso al punto da aprire un varco nel muro e dilagare.

Le cose, però, a Scutari, non sono andate così. O almeno, non completamente. Il possesso palla c'è stato, ed evidente, ma in termini materiali è stato efficace poco e niente. Qualche tiro dalla distanza, due buoni tuffi di Berisha, per il resto il primo tempo è stato un lunghissimo monologo di tiki-taka ordinatamente contenuto dal 4-5-1 albanese comandato da De Biasi. Quasi come a confermare la classica presa in giro del "voler entrare in porta con il pallone", le Furie Rosse hanno sempre cercato un passaggio in più, anche quando la disposizione degli avversari invitava al tiro o ad un dribbling potenzialmente decisivo. Una pericolosità sacrificata sull'altare del bel gioco, della circolazione, di un possesso palla che non solo rende sterile la fase offensiva, ma che avrebbe rischiato di far pagare dazio la difesa se si fosse trovata contro un avversario più pericoloso in ripartenza rispetto al (pur ottimo) Balaj. Nella seconda frazione l'intensità dell'Albania è calata, mentre l'errore su rinvio di Berisha e l'inserimento di Nolito, più affamato, per Vitolo hanno spalancato le porte allo 0-2 finale. A quel punto il possesso palla è diventato davvero una specie di torello da allenamento, con i padroni di casa frustrati nel vedere sempre la sfera sempre e solo da lontano.

La domanda annosa però è: vale la pena entrare in campo col dogma del possesso palla? Nascondere la sfera agli avversari per novanta minuti è sicuramente un grande modo per non perdere, ma può essere anche utile a vincere con continuità? Il quadriennio d'oro 2008-2012, quello dei tre titoli intercontinentali, ci ha dimostrato di sì, ma per mille motivi quella Spagna non è accomunabile a questa. Lopetegui sembrava arrivato per indirizzare più in verticale lo stile di gioco dei suoi, ma l'influenza sembra trasmettersi al contrario, con l'ex-Porto conservativo e fiducioso nel tiki-taka quasi all'estremo. Il tempo è ancora tanto, ma accantonare totalmente l'idea di una punta che attacca lo spazio (Morata chi?) con o al posto di Diego Costa,  per sfruttare con continuità gli inserimenti in verticale, potrebbe rivelarsi deleterio. Perché, come saprà sicuramente anche il diretto interessato, a Julen Lopetegui si chiede solo una cosa: risultati. E difficilmente tra due anni, in Russia, sarà tollerato un altro fallimento. Tiki taka o non tiki taka.