Il Dio precipitato dall’Olimpo fermato dall’antieroe per eccellenza. Due figure forse stonanti nei rispettivi contesti, ma elevate a main characters per l’occasione. L’Efesto è sempre più Edinson Cavani, quasi irriconoscibile dall’arrivo a Parigi, non aiutato nemmeno dalla cessione di Ibrahimovic, in termini psicologici e tecnici. Il secondo, non nel senso strettamente sportivo, risponde al nome di David Ospina, schierato a sorpresa tra i pali da Wenger al posto di Cech, azzeccando la mossa (una delle poche, in realtà).
Personaggi profondamente diversi, protagonisti di PSG - Arsenal, influenti sull’1-1 finale come nessun altro è riuscito ad essere, in un duello quasi personale, tutto sudamericano, fino all’ultimo pallone.
L’attaccante Uruguagio mette in bella vista il repertorio dopo soli quarantadue secondi, stacco sul primo palo e gol, con l’antieroe, ancora in forma letteraria di semplice “parte del racconto”, testimone e colpevole di non aver evitato il fatto. Una omessa denuncia, per certi aspetti. Da quel momento, la storia subisce un brusco e inaspettato ribaltone: il Dio viene scaraventato tra i comuni mortali, Ospina lo combatte da gladiatore, non precisamente spalleggiato dalla linea difensiva, in netta difficoltà.
Il gioco di Emery crea spazi in avanti, cerca la profondità, Cavani è il centravanti ideale per attaccarla, giocando con la linea del fuorigioco e riuscendo quasi sempre ad indovinare il momento perfetto, ma sul più bello, quando più conta, il martello non colpisce l’incudine. O per lo meno, ciò non accade negli ottantanove minuti successivi al gol. Un errore a porta vuota, almeno tre pecche di freddezza, anche un paio di errori tecnici grossolani. Il killer instinct sembra volatilizzarsi, vecchi fantasmi usciti dall’armadio in Copa America riaffiorano.
E il PSG non dilaga. Rimane lì, a compiacersi del proprio fraseggio, sdraiato sul proprio triclinio a divorare pietanze dal banchetto dei gol. L’Arsenal, frastornato dalla potenza del centrocampo avversario, smarrito in spazi che non esistono e costringono a futili scambi corti, spesso con cinque uomini in un fazzoletto ad intrattenere un dialogo fine a sé stesso, terminato con una logica palla persa, non reagisce, i giocatori sembrano essersi dimenticati i fondamentali, ma più che gli errori tecnici sono le scelte a lasciar perplessi. Difficile salvare qualcosa dal primo tempo dei Gunners, sorretti dal solo ed unico Ospina.
Non porta ventate di cambiamento nemmeno la ripresa. La stessa solfa, lo stesso antieroe, gli stessi uomini. Serve attendere fino al 78’ per un gol del pareggio che sa di profonda beffa per il PSG, sull’unica intuizione di Ozil. L’ultimo quarto d’ora è addirittura contraddistinto da un combattimento alla pari, sul filo dell’equilibrio, con quasi la stessa parità di occasioni, diversamente da quanto accaduto nei primi settantacinque minuti, dal monologo francese.
La posta in palio resta sul banco. O meglio, avviene la classica divisione che non accontenta davvero nessuno. Resta un enorme rimpianto per Emery, coraggiosa guida, al quale non è bastata l’intuizione Matuidi, schierato da ala, per aumentare il pressing e lo spirito di sacrificio, lasciando a Cavani e Di Maria ogni compito di offendere, innescati da quel geometra rispondente al nome Marco Verratti, la cui fine (cartellino rosso per un alterco con Giroud) rischia di rovinare l’inizio e il prosieguo della partita, svalutando la prestazione.
Coraggio, anche per Wenger. Xhaka, Giroud e Cech si accomodano a sorpresa in panchina, due entrano in campo, del terzo per fortuna non vi è necessità, anzi. Il gol lo firma il solito Sanchez, l’ultimo a mollare anche in una serata storta, in una posizione più complicata per le proprie caratteristiche, quella di prima punta di movimento. Scelta, questa, che paga dividendi estremamente bassi: i suoi movimenti a svariare lasciano l’area sguarnita, l’appoggio tende a mancare, le spaziature saltano, contro l’organizzazione parigina.
Sul campo, in quanto a qualità di prestazione, risulta estremamente complicato non elogiare Emery e la sua gestione di gara, coadiuvata dal perfetto ruolo recitato da ogni singolo giocatore. Cavani escluso, ampiamente insufficiente per la clamorosa serie di errori. Eppure il risultato finale racconta una storia diversa, un pareggio, un punto a testa. Perché l’antieroe si carica la squadra sulle spalle, la salva ripetutamente, in attesa di quell’episodio provvidenziale, che sistema il punteggio. Puntualmente, arrivato al 78’. Dalla stangata alla sfangata, con buona pace di Paul Newman e Robert Redford.