Il nuovo corso azzurro targato Giampiero Ventura è iniziato con una sconfitta, 1-3 nell'amichevole di ieri contro la Francia al San Nicola di Bari. Nessun dramma, dato il valore dell'avversario e il momento della stagione, per un calcio italiano che prende il via ad agosto ma che a settembre ancora lamenta le conseguenze dei carichi di preparazione. Le novità della nazionale si sono sostanzialmente ristrette alla sola presenza in panchina del commissario tecnico ex Torino, Bari, Napoli ecc ecc. Quella vista in campo contro i Bleus è stata infatti la copia sbiadita dell'Italia di Conte, lenta e senza il sacro fuoco degli Europei, come era peraltro facilmente pronosticabile. 

Ventura ha più volte lasciato intendere di voler modificare ben poco dell'impianto di gioco del suo predecessore, un 3-5-2 da battaglia utilizzato per provare a fare quanta più strada possibile nella rassegna continentale. Una nazionale senza sbocchi sul mare si ritrova così nella paradossale situazione di voler proseguire sulla falsariga di una scelta contingente, certamente non legata al futuro, come è stata quella presa dal dimissionario Conte. La selezione di Francia 2016 è stata infatti tra le più anziane dell'Europeo, e di certo il condottiero della campagna di giugno non ha lasciato in eredità al suo successore un blocco di giovani già svezzati e pronti a ripartire nel biennio che dovrebbe condurre al Mondiale di Russia. E' rimasta una piccola Italia, spogliata del furore agonistico del suo uomo forte, che aveva personalizzato l'ultima spedizione con i suoi pretoriani e con un paio di veterani senza futuro buttati nella mischia per ottenere esclusivamente un piazzamento tra le migliori otto. Solo ora possono iniziare a intravedersi i danni della sciagurata operazione Montpellier messa in piedi da Conte e dal suo staff: costruire una squadra senza prospettive, imbottita di veterani e mezze figure (ogni riferimento a Thiago Motta e Stefano Sturaro è puramente voluto), per fare gruppo e poter dire di aver dato il massimo, oltre a imprecare contro la malasorte che ci ha fatto arrendere ai tedeschi. I migliori giovani dello scorso campionato, o comunque ragazzi in rampa di lancio, lasciati a casa, o meglio, mandati in vacanza senza far assaporare loro l'atmosfera del grande evento. I vari Belotti, Rugani, Romagnoli, Baselli, Berardi, tutti ignorati in nome del modulo, quel 3-5-2 che nel football nostrano ha ormai preso il posto del 4-4-2, altro dogmatico marchio di fabbrica italico degli anni Novanta.

E che il modulo venga prima dei giocatori lo ha ammesso, tanto candidamente quanto clamorosamente, lo stesso Ventura, quando ha dichiarato che giocatori come "Berardi ed El Shaarawy c'entrano poco con il nostro sistema di gioco". Piuttosto che valorizzare il miglior patrimonio tecnico di questa generazione, che sta proprio nella qualità di alcuni esterni offensivi (tra cui anche Bernardeschi e, volendo, Bonaventura), si prosegue con la difesa a tre (o a cinque...), anche quando l'elemento chiave della retroguardia, un Bonucci libero vecchio stampo capace di impostare, viene meno per problemi familiari. Ne deriva una squadra che rumina calcio, continua a scambiare palla tra i tre centrali come consentito e anzi incentivato dagli avversari, senza avere altra alternativa credibile al lancio lungo verso la torre, nella fattispecie Pellè. Il 3-5-2 da battaglia e soprattutto senza qualità può funzionare in un arco di tempo limitato, quando le barricate di fine stagione servono a colpire in contropiede nazionali più quotate, ma non ha alcuna logica nel lungo periodo, a maggior ragione se con gli stessi interpreti dell'Europeo. Un Europeo chiuso mediaticamente in maniera trionfale, con il c.t. considerato come una specie di santone, l'uomo vero che fa gruppo, si agita in panchina e urla fino a rimanere senza voce. E poi? E poi il diluvio, o meglio il deserto tecnico totale che caratterizza il movimento azzurro. Scelte obbligate, si disse a giugno. Unico modo per superare il girone e raggiungere la terra promessa dei quarti di finale. Missione compiuta, ma a quale prezzo? Quello di costruire un gruppo di onesti mestieranti del pallone, peraltro anche stagionati, e di rimanere secoli indietro rispetto alle altre potenze del continente, mentre non si è neanche provato a verificare se qualche giovane promessa avrebbe potuto dare alla causa quella freschezza e brillantezza oggi completamente assenti nel panorama tecnico azzurro.