Che i tedeschi, ancorchè campioni del mondo in carica, temessero la nazionale di Antonio Conte, si era capito già dalla lettura delle formazioni ufficiali della sfida dei quarti di finali di Euro 2016 a Bordeaux. Rivoluzione per Joachim Loew, che ha abbandonato l'abituale (e più offensivo) 4-2-3-1 per rifugiarsi in un 3-5-2 speculare a quello degli azzurri, evidentemente preoccupato della fase di transizione difensiva della sua squadra.
Fuori Julian Draxler, dentro Howedes dunque per Loew, che ha snaturato il suo gioco per evitare l'ennesimo k.o. contro il rivale più indigesto. Sugli esterni spazio a Hector sulla sinistra e al giovane Kimmich (in realtà nato come centrocampista centrale, adattato a difensore al Bayern Monaco da Pep Guardiola) sulla corsia opposta, con conseguente spostamento (e depotenziamento) di Mesut Ozil come mezz'ala in un centrocampo fin troppo folto, completato da Toni Kroos e Sami Khedira, ben presto rimpiazzato da Bastian Schweinsteiger. Thomas Muller come seconda punta al fianco di Mario Gomez, ma in balia della difesa a cinque di Conte, in cui Leonardo Bonucci ha fatto ancora una volta il libero vecchio stampo con i fidi Barzagli e Chiellini ai lati.
La Germania ha sfidato così l'Italia sul suo terreno, rischiando molto più di quanto si sia poi visto sul campo. Meno abituati a tenere le distanze strette in un sistema per loro inedito, i tedeschi hanno sofferto gli inserimenti senza palla di Emanuele Giaccherini (un classico in questo Europeo azzurro) innescato sempre dal solito Bonucci, e l'ampiezza garantita a Conte da De Sciglio e Florenzi, instacanbili sui due binari. Ne è derivato un primo tempo noioso e monocorde, con i campioni del mondo a tenere a lungo il pallone senza però avere mai sbocchi realmente interessanti, con almeno un paio di giocatori fuori ruolo (Ozil e Kimmich, per certi versi Thomas Muller). Il tutto a vantaggio degli azzurri, che anche senza De Rossi non hanno sofferto le triangolazioni al limite dell'area tipiche dei tedeschi, ma mai attuate ieri a Bordeaux.
Non è cambiato granchè nel secondo tempo, con Parolo comodamente piazzato davanti alla difesa e Sturaro a correre e picchiare come da mandato tecnico. Solo un'azione un po' improvvisata (rilancio di Neuer, sponda di Muller per Gomez, poi pallone di Hector in mezzo deviato un paio di volta) ha consentito alla Germania di passare in vantaggio proprio con Ozil, fino a quel momento invisibile nella melma del centrocampo.
Qui l'Italia, che ha esagerato nella sua strategia di non volere praticamente mai il pallone tra i piedi rinunciando ad attaccare con più di quattro/cinque uomini, ha trovato di nervi il guizzo giusto per rimettere il risultato in parità. Prima Pellè, pescato da un De Sciglio puntuale come mai prima d'ora, ha spaventato Neuer, poi al termine di un paio di minuti rugbistici degli azzurri (corner e rimesse laterali lunghe), è stato Jerome Boateng (per il resto impeccabile) a regalare agli azzurri un insperato calcio di rigore, trasformato con freddezza da Bonucci.
Gli ultimi quarantacinque minuti di gioco (i quindici dei regolamentari e i trenta dei supplementari) sono stati una lenta processione verso i decisivi tiri dal dischetto. Conte si è limitato a dare ossigeno a Florenzi per Darmian, salvo inserire Lorenzo Insigne a partita sostanzialmente chiusa, imitato da un Loew molto conservativo: dentro Julian Draxler per Mario Gomez e Muller prima punta.
Esito scontato quello dei calci di rigore, molto meno quello della loro esecuzione. Gli erroracci di Muller (bravo Buffon, ma tiro lento e non angolato) e di Ozil (palo) sembravano spalancare le porte della semifinale all'Italia (in gol con Insigne e Barzagli dopo la fucilata alle stelle di uno Zaza entrato proprio come rigorista). Ma a spegnere i sogni tricolori ci ha pensato Graziano Pellè, tanto generoso durante i 120 minuti quanto inopinatamente sbruffone dal dischetto: dopo aver cercato un improbabile battibecco con Neuer (mimato il gesto del cucchiaio), l'attaccante del Southampton ha calciato in maniera inguardabile, un destro debole finito abbondamente largo.
Il successivo errore di Bonucci è stato pareggiato dal crepuscolare Schweinsteiger, prima che Darmian si facesse ipnotizzare e Hector chiudesse la maledizione tedesca contro l'Italia. Un'Italia che si è stretta attorno al suo allenatore e a un sistema di gioco collaudato, forse interpretato con eccessiva prudenza contro un rivale contratto e impaurito, e che ora dovrà provare a ripartire dal talento. Perchè con il carattere, il cuore e l'organizzazione tattica si arriva fino a un certo punto, al resto provvedono in genere i campioni.