Il fascino di ospitare una manifestazione continentale porta in dote qualcosa più della semplice carica, della mera e naturale motivazione fornita dalla maggioranza di pubblico amico sugli spalti. Spesso ci si scorda della pressione, tema ricorrente - e fin troppo generale - che perseguita chi gioca tra le mura amiche, della responsabilità sulle spalle di chi scende in campo, delle elevate aspettative che altrettanto spingono verso il basso, causando un effetto contrario all’intenzione.
Il caso della Francia, organizzatrice e favorita dell’Europeo che prenderà il via il 10 giugno, sembra incarnare in pieno tutti questi aspetti. Il processo di maturazione di una rosa mediamente giovane, iniziato dopo l’Europeo 2012, volge a un punto chiave, una tappa tanto importante quanto sentita, per le ragioni di cui sopra. Una vittoria verrebbe indubbiamente accolta come la definitiva consacrazione di un gruppo che potrebbe solo crescere, specialmente in vista del Mondiale di Russia nel 2018, mentre in caso opposto non sono certamente pochi coloro che si sono già muniti di chiodi e martello virtuali per crocifiggere in piazza Didier Deschamps.
Già, Didier Deschamps. Personaggio, prima che allenatore, che ha spesso unito, come faceva in campo con difesa e centrocampo, ma altrettante volte ha diviso l’opinione popolare. Probabilmente è da oltre 30 anni, ovvero dai tempi di Michel Hidalgo, che la Nazionale non si ritrova un CT le cui decisioni non generano l’effetto Mosè col Mar Rosso nell’ambiente circostante la squadra. Evidentemente l’avere le idee chiare non è un punto a favore dell’ex mediano della Juventus e del Marsiglia, almeno nella testa di molti. Fatto sta che le convocazioni rispecchiano in toto la filosofia di gioco col triplice perno nella linea centrale che taglia a metà il campo in verticale. Una sorta di 4-3-vous décidez che affascina, anche per gli interpreti.
La scelta dei tre estremi difensori non sorprende e non va nemmeno troppo analizzata, tanto risulta ovvia. Lloris è, oltre che uno dei portieri più dimenticati quando si parla di top nel ruolo, il titolare inamovibile. Mandanda si sta confermando una signora seconda opzione di esperienza e carisma, mentre Costil attende la sua grande chance giocando ottime stagioni con il Rennes. Tutte mani indubbiamente sicure, con gerarchie altrettanto chiare.
La difesa rappresenta il primo punto di domanda. Dubitare di Sagna, ad esempio, è più che legittimo, specialmente pensando al non perfetto timing di chiusura mostrato nell’annata appena terminata. La sua alternativa, Jallet, risulta riluttante in fase di spinta. Già migliore la situazione sulla sinistra, con due note conoscenze della Serie A come Evra e Digne a contendersi la maglia da titolare, anche se il bianconero scatta decisamente avvantaggiato per una questione di esperienza. La coppia centrale dovrebbe essere composta da Varane e Koscielny: se ne sono viste di migliori nella storia del calcio francese, ed entrambi hanno ancora alcune lacune da colmare, ma tutto sommato in un contesto di squadra solida è un duo di discreta affidabilità. Già meno bene invece le riserve Mangala e Mathieu. Il primo è un walking risk nonostante la leggera crescita, il secondo una consolidata riserva del Barcellona. Sì, del Barcellona, ma pur sempre riserva…
Salendo di un grado, si possono constatare i primi miglioramenti evidenti. C’è davvero bisogno, ad esempio, di spendere parole per Paul Pogba e Blaise Matuidi? Due tra i migliori all-around midfielders (o box-to-box, che dir si voglia) in circolazione, peraltro perfetti per giocare insieme ai lati di un regista classico quale Yohan Cabaye, l’uomo con le chiavi della squadra in tasca. La sensazione è che inoltre Deschamps abbia deciso di chiamare tre riserve che siano i sostituti naturali di questo trio: Moussa Sissoko come vice-Pogba, anche se la sua stagione è stata tutt’altro che brillante; N’Golo Kanté come vice-Matuidi, di corsa e temperamento ma non di qualità offensiva come l’interno del PSG; Lassana Diarra come vice-Cabaye, con meno qualità e forse anche meno merito. In ogni caso, la titolarità del terzetto non sembra intaccabile.
L’attacco fornisce una gamma di soluzioni talmente vasta che probabilmente meriterebbe un discorso a parte. Doppia punta di peso col trequartista, ali veloci, tridente tecnico, falso nove e via discorrendo fino all’alba del giorno che verrà. I nomi non sorprendono, specialmente quelli di Griezmann e Giroud, fedelissimi e immancabili, forse un po’ di più invece Gignac, bomber di razza e d’esperienza emigrato in Messico per vincere una Libertadores col Tigres, persa a un passo dal sogno. Non è comunque una convocazione choc, come non lo sono affatto (anzi…) quelle di Payet, altro ex Marsiglia come APG e mattatore assoluto col West Ham nella stagione di Premier, Martial, quasi definitivamente consacrato allo United, e soprattutto Kingsley Coman, per il cui sviluppo il CT dovrà pagare almeno un paio di cene a Guardiola in ristoranti chic di Parigi.
Da menzionare anche le riserve, alcune convincenti e altre meno. Rientra nella prima categoria Aréola, fenomeno del futuro e già portiere di ottima affidabilita. Resiste nell’ibrido invece Umtiti, ancora atteso al varco per il salto di qualità, mentre Sidibé potrà avere un roseo futuro ma non sembra attualmente in grado di far parte di una Nazionale del calibro dei Bleus. Torniamo tra i convincenti citando le riserve di centrocampo e attacco. Schneiderlin è l’elemento controverso: Deschamps ha cercato di mantenere un nucleo di base dal mondiale ad oggi, nel quale il mediano dello United è sempre stato incluso, ma al momento delle convocazioni, vuoi per la crescita di Kanté e vuoi per le prestazioni ampiamente sotto tono (ma non è l’unico), è stato scartato. Comprensibile anche l’inserimento di Rabiot come alternativa. Il tridente offensivo di riserva fa invece discutere: Gameiro, Lacazette e Ben Arfa, reduci da un’annata clamorosa, rimarranno immeritatamente a casa, salvo infortuni. E la rivolta dell’opinione popolare, o di buona parte di essa, è già iniziata.
La discussione sugli esclusi potrebbe affondare le proprie radici nel discorso riservato a Schneiderlin: i sei convocati per l’attacco sono sempre stati al centro del progetto negli ultimi mesi, il CT si fida di loro e non ha corso il rischio di inserire giocatori relativamente “nuovi” per la Nazionale, andando parzialmente oltre i meriti. È una scelta inappuntabile, nonostante la contraddizione verificatasi con Kanté, che si pone come la classica eccezione che conferma la regola, per una questione soprattutto di caratteristiche. E che lussuosa eccezione, aggiungerei…
Gli infortuni hanno messo fuori gioco svariati protagonisti possibili, da Laporte a Tremoulinas, da Zouma a Debuchy. E già questi quattro citati comporrebbero una linea difensiva quasi al livello di quella titolare. Il rendimento pessimo ha invece condizionato l’estate di Kondogbia e Clichy, giocatori spesso coinvolti nelle faccende della Nazionale. Non vanno dimenticati, in ultimo, gli esclusi per motivi disciplinari. Valbuena era un perno, Benzema altrettanto (forse quest’ultimo anche qualcosa in più di un perno), ma dopo la nota vicenda che li ha visti protagonisti non esattamente in positivo, la decisione di escludere entrambi appare tutt’altro che peregrina. Senza scordarci di Nasri, quello che “non accettava la panchina”.
L’assenza senza dubbio più pesante resta comunque quella dell’attaccante del Real Madrid. Inutile tornare sul luogo del delitto e analizzare i motivi che han portato Deschamps a maturare questa decisione. Più sensato invece chiedersi quanto può influire la sua assenza, e soprattutto come. La risposta a questa domanda è, in realtà, più immediata di quanto sembri: senza Benzema è comunque la stessa identica Francia, solo con un nome differente a fare reparto in avanti, e, paradossalmente, con più soluzioni tattiche. Indubbio che si perda sotto il punto di vista del talento, ma la fortuna dei Bleus è proprio quella di avere una profondità di scelte tale da nascondere anche una mancanza sulla carta importante.
Benzema o non Benzema, l’aspettativa, ribadendo il concetto d’apertura, rimane quella di vincere. Esiste anche una sorta di cabala, se così la si può chiamare: l’anniversario dei 16 anni. La Francia infatti ha portato a casa il trofeo per due volte, nel 1984 e nel 2000. Se la matematica non è un’opinione, è facile dedurre che la sequenza “imporrebbe” una vittoria. Andando oltre a questo tipo di considerazioni, è più interessante la statistica che vede i galletti due volte in finale e mai sconfitti. In 14 edizioni, per 6 volte i transalpini non si sono presentati ai nastri di partenza, due volte sono risultati tra le migliori quattro. Precisazione: tra queste rientra anche la prima edizione nel 1960, quando chiusero al quarto posto, sì, ma su quattro partecipanti. Da contare anche due eliminazioni al primo turno nel 1992 e nel 2008, mentre due volte la corsa si è fermata ai quarti di finale, nel 2004 e nel 2012.
Superstizione a parte, la cavalcata del mondiale brasiliano ha messo in luce le tante potenzialità di una squadra che si è piegata solamente di fronte alla testa di Hummels e alle mani di Neuer in quel quarto di finale terminato 1-0 in favore dei futuri campioni. L’Europeo sembra essere dunque il momento migliore per verificare lo stato della squadra. O forse, il momento peggiore. Beh, decidete voi. Probabilmente anche su questo l’opinione pubblica sarà divisa…