I quasi 260 milioni di euro, spesi dal campionato cinese nelle ultime sessioni di calciomercato (dati transfermarkt), sono solo l'ultima goccia nel vasto oceano calcistico esploso negli ultimi anni nell'estremo Oriente. Perché la rincorsa ai campioni è ormai un vero e proprio “affare di Stato” che non bada ai prezzi, rivelando le ambizioni internazionali di un Paese stanco di essere visto come la “fabbrica del mondo”.
Andiamo con ordine: “nel 2014 la Super League ha incassato circa 50 milioni di euro grazie a nuovi accordi di sponsorizzazione” ha scritto Alessandro Aliberti sul Corriere dello Sport qualche settimana fa, andando così a sottolineare il boom economico che sempre più sta investendo la Chinese Football Association Super League, ossia il massimo campionato del Paese, grazie agli investimenti dei privati. Liberismo sportivo, per intenderci, nella patria del comunismo dalle mille contraddizioni.
Di sicuro il governo non ha mai osteggiato gli interessi economici in questa direzione, anzi: lo stesso Presidente Xi Jinping nel 2011, quando all'epoca era Vicepresidente, diede “mandato all’ex presidente della Federazione calcistica cinese (Cfa), Yuan Weimin, di avviare una riforma strutturale del sistema calcio per rilanciarlo dopo il drastico calo di interesse dovuto prima agli scandali legati al calcioscommesse che colpirono la massima divisione nazionale nei primi anni Duemila e in seguito alle deludenti prestazioni della Nazionale cinese alle Olimpiadi di Pechino 2008” ha ricordato Giovanni Battistuzzi sul Foglio.
Se lo Stato vuole diffondere il “vangelo calcistico” nello sterminato Far East, l'aiuto delle grandi aziende è a dir poco indispensabile. Tra queste c'è la “Suning Commerce Group - continua il giornalista - uno dei più grandi rivenditori cinesi di prodotti elettronici (...) con un fatturato annuo di circa 14 miliardi di euro. Un colosso capace di investire nel marzo 2015 73 milioni di euro nel Jiangsu Sainty per acquisirne la proprietà” e darle il proprio nome. In Italia il nome che suona più familiare è però quello del Guangzhou Evergrande, club dell'omonimo gruppo immobiliare Guangzhou R&F Propertiese e del colosso web Alibaba al 50%, che ha portato nella città cinese nomi come Marcello Lippi e altri campioni occidentali, attratti dai ricchi contratti.
Accanto agli assegni faraonici staccati per le grandi stelle, ci sono però anche quelli per pagare multe salate: a inizio febbraio, infatti, “la commissione disciplinare Fifa - ha scritto Marco Bellinazzo sul suo blog sul Sole24Ore - ha imposto alla Chinese Football Associacion un risarcimento da riconoscere all’ex commissario tecnico Juan Antonio Camacho, condanna che fa seguito a quella del gennaio 2015 comminata dal comitato per lo status dei giocatori (PSC) dopo il licenziamento avvenuto nel 2013”. Secondo il giornalista, i soldi da versare all'ex tecnico di Real Madrid e Benfica sarebbero 5 milioni di euro: in fondo spiccioli per un movimento che ragiona per centinaia di milioni!
Se il discorso economico fa riflettere sulla prepotenza con cui il gigante asiatico si sta affacciando sul mondo del pallone, è altrettanto plausibile che “l'illuminazione sportiva” del regime comunista sia dovuta alla volontà di investire in un settore stabile e proficuo nelle borse di mezzo mondo, soprattutto in un periodo di così forte incertezza verso gli indici cinesi. Anche perché non è impensabile che gli stessi colossi che ora controllano i club locali non arrivino presto anche in Europa: ad esempio il Pavia, militante in Lega Pro, è dell’imprenditore Xiadong Zhu e la catalana Espanyol è per il 58% del Rastar Group, attiva nel settore automobilistico.
La notorietà poi che ha ssunto recentemente la Super League cinese è dovuta anche all'Infront Sports&media, società leader nel marketing sportivo acquistata dal secondo miliardario del Paese, Wang Jianling, e alla cui presidenza c'è “Philippe Blatter, nipote dell’ex numero uno della Fifa”, ha raccontato Battistuzzi sul Foglio, precisando che questa è partner proprio “della Fifa, dei campionati tedesco e italiano e di squadre come Inter, Milan e Werder Brema”. Un circolo vizioso, insomma, che inizia a farsi comprendere se si vede che molti colossi alle spalle delle squadre cinesi sono gruppi immobiliari: tappare ulteriori bolle del settore con azioni facilmente spendibili potrebbe rivelarsi un'azione astuta in caso di bisogno estremo. Anche perché l'Occidente stesso è legato indissolubilmente allo sport più famoso al mondo.
Insomma, il movimento asiatico nato nel 1924 (nonostante l'esordio ufficiale della Nazionale sia datato 1913, con la sconfitta per 2 a 1 contro le Filippine, e l'ingresso nella FIFA dopo la rivoluzione comunista sia stato inaugurato con la disfatta 4-0 contro la Finlandia nel '52) oggi è ben distante dalle sue origini: un calcio lontano dai grandi palcoscenici, che invece adesso reclama a suon di yuan. Sarà interessante vedere come si relazionerà con la Cina il nuovo Presidente della FIFA, Infantino: nonostante buona parte dell'AFC abbia sostenuto Al Khalifa (fino a prova contraria, perché il voto era segreto), è difficile che egli non dovrà fare delle scelte con la Chinese Football Association.
Da una parte, infatti, lo stesso Infantino è tra gli artefici del fair play finanziario voluto da Platinì alla UEFA; ma, al tempo stesso, Blatter ha dichiarato che l'italo-svizzero seguirà le sue orme, quindi apertura verso i campionati emergenti e ricchi di soldi: la partita a scacchi si giocherà molto sugli equilibri dei grandi movimenti di denaro e degli interessi dei colossi asiatici. Con la volontà di incentivare il settore giovanile, inoltre, si aprirebbero le porte dei finanziamenti della Federazione mondiale. Se una candidatura per i Mondiali dovesse premiare gli sforzi della Repubblica popolare, allora il football come lo conosciamo potrebbe rapidamente cambiare i propri tratti somatici.
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