È il lontano 1965 quando, alla stazione di Douala(Camerun sudoccidentale), giungono due individui. Il primo è un ragazzino, magro e snello, l'altro è il padre, ferroviere, ormai logoro da una estenuante giornata di lavoro. Vengono dalla capitale (Yaoundé) e sono in cerca di un po' di meritato riposo. Mentre i due camminano alla ricerca di una temporanea sistemazione, il bambino, in lontananza, scorge un gruppo di ragazzini impegnati in una partita all'ultimo sangue. “Papà, posso andare a giocare?”- "Va bene figliolo, ci vediamo fra un'oretta”. Il piccolo si avvicina e chiede di poter giocare. Partita interrotta per un attimo, sguardi scettici di quei piccoli campioni di strada, ma alla fine permesso accordato. Quel ragazzino, che ha da poco compiuto 13 anni, non è uno scapestrato qualunque. Quel ragazzino era giunto in città per firmare il suo primo contratto da professionista. Quel ragazzino era Albert Roger Milla.
“Grazie al calcio, un piccolo paese ha potuto diventare grande” dirà Roger a France Football qualche anno più tardi. Il senso di appartenenza alla cultura di cui si faceva esportatore non è mai stato un mistero. D'altronde tutti i grandi campioni africani, abituati a calciare agglomerati di pezza, rivendicano le proprie origini, cercando di aprire gli occhi del mondo a problemi ben più gravi della mancanza di cuoio per i palloni. Un continente, dilaniato da cima a fondo da guerre e povertà, alla disperata ricerca di una collocazione politica. Terra di conquista e di colonizzazione, l'Africa ha sempre cercato riparo nella sua straordinaria variegazione culturale e nella sua spensierata apertura allo “straniero”.
I bambini di queste zone sanno che il loro “pallone” durerà poco. Una pietra, un chiodo, un proiettile. In un modo o nell'altro quel groviglio di stracci è destinato a scucirsi, portando con sé le speranze e i sogni di quei piccoli calciatori. La loro storia passa anche per queste cose. È gente forte, abituata a guardare la morte in faccia e tirare dritto. Hanno una natura socievole,che non nasconde la volontà di aprirsi al mondo occidentale, nonostante esso sia sinomino di sofferenza e distruzione. Sono popolazioni povere economicamente,ma ricchissime di valori.Valori che noi europei non potremmo sfiorare neanche con l'immaginazione.
Il calcio, ma lo sport in generale, rappresenta l'escamotage per uscire da quella condizione di vittimismo perenne e far sapere al mondo chi corre tra i deserti africani. Ogni calciatore nero che riesce nell'impresa di attraversare il Mediterraneo, prima o poi sente il bisogno di guardarsi indietro. Troppo forte è il legame con ciò che è stato. È impossibile recidere quel cordone ombelicale. Il suono di quei tamburi, che udivi fino all'altro ieri, ti rimomberà nella testa fino a quando non avrai ringraziato mamma Africa per l'opportunità che ti ha concesso. È questo il loro modo di pensare. A tratti indecifrabile, a tratti quasi infantile. Sono un popolo molto unito,dove la famiglia è la chiave di tutto e la tribù e i clan ne sono la dimostrazione pratica. Ma d'altrocanto,correre nella Savana non è facile;è un'ardua sfida riservata solo a pochi eletti ed è un po una metafora della vita. Uno dei requisiti, ovviamente, è non avere le scarpe, sarebbe troppo facile sennò.
Il lavoro del padre di Roger faceva sì che lui e la sua famiglia fossero in costante movimento. Dopo essersi accasato nell'Eclair de Douala, inizia a segnare a raffica (media di quasi un gol a partita) e dopo cinque stagioni passa al Leopards (sempre di Douala). Qui vincerà i suoi primi trofei (campionati del 1972 e 1973), arrivando a guadagnarsi il titolo di calciatore africano dell'anno nel 1976. La sua carriera è in rampa di lancio. L'Europa lo chiama al grande salto e Milla non resta a guardare. Approda a nord del Passo di Calais, a Valenciennes, all'età di 25 anni. Da qui ha inizio la sua peregrinazione transalpina, passando per Monaco, Bastia, Saint Etienne e Montpellier, ma senza brillare mai troppo. Il calcio europeo ne ha affinato la tecnica e il senso del gol,trasformando il leone di Douala in uno spietato predatore d'area. Inizialmente però il feeling con il gol scarseggia, a causa di quel mal d'Africa che lo prende alla pancia e gli spegne il sorriso a tradimento. Ma poco importa. Roger esploderà definitivamente (grazie all'esperienza messa in cascina in questi anni difficili) con la maglia della nazionale. 1982,è l'anno del mondiale spagnolo,il “Mundial”. Il Camerun è inserito nel difficile girone con Italia, Perù e Polonia. Ma gli africani hanno voglia di stupire e strappano due pareggi a reti bianche prima ai sudamericani e poi ai polacchi. Nell'ultima sfida del girone, gli azzurri passano in vantaggio con Ciccio Graziani al 60', pareggio di M'Bida dopo un minuto e gol annullato a Milla nel finale. Ma non basta. La nazionale di Bearzot si qualifica per differenza reti e arriverà ad alzare la coppa in faccia alla Germania Ovest (di un certo Rummenigge). Da quel momento in poi, i giocatori camerunensi saranno chiamati “leoni indomabili”,uscendo dal loro primo mondiale senza subire sconfitte. Roger è uno di questi. La sua tempra e il suo spirito di sacrificio lo condurranno ad essere il giocatore più vecchio a segnare in una fase finale di coppa del mondo. Perchè in fondo in fondo, il grande Milla è sempre rimasto bambino, incantando negli stadi più grandi del mondo come se si trovasse a giocare scalzo nella periferia di Douala. Terminati i mondiali, il nostro eroe si imbarca con la spedizione camerunense ai Giochi Olimpici di Los Angeles, riuscendo a siglare anche una rete nella sconfitta con la Jugoslavia. In quello stesso anno, con Milla protagonista il Camerun vincerà la sua prima Coppa D'Africa. Due anni dopo (1986) i leoni indomabili si presentano in Egitto per difendere il titolo conquistato nell'edizione precedente. Roger trascinerà i suoi fino alla finale, laureandosi capocannoniere della competizione (con 4), ma in finale la gioia è per i faraoni di casa. Nell''88, però, la Coppa D'Africa torna in mano ai leoni, con Milla nuovamente re dei cannonieri africani. Quella sarà l'occasione per dire addio ai colori della nazionale; un addio trionfale che non nasconde tuttavia un ripensamento a cui Roger cederà esattamente due anni più tardi. Nel frattempo decide di tornare in patria, più precisamente nella tranquilla isola delle Reunion, per dare una mano al JS Saint-Pierroise, avviando così l'inesorabile discesa della sua carriera. Sembra tutto già scritto, un canovaccio visto e rivisto. L'eroe continentale che riabbraccia la sua terra e diventa parte di essa. Purtroppo però non sarà così. Perchè, come al solito, le pagine più belle di un libro sono quelle finali. E Roger Milla quelle pagine si trova sul punto di scriverle.
Anno 1990, mancano pochi mesi al mondiale italiano. Succede l'incredibile. Il presidente del Camerun, Paul Biya, telefona a Milla nel tentativo di convincerlo a tornare sui suoi passi. Dopo vari tentennamenti la decisone è presa,Milla disputerà i mondiali in Italia.
A 38 anni sentire il peso di una nazione intera sulle spalle non è facile per nessuno. Ma Roger le ha ben più larghe di quanto mostri. L'Argentina di Maradona, detentrice del titolo, affronta l'umile Camerun nel girone eliminatorio. I sudamericani attaccano ma non riescono a sfondare. Al 66' minuto succede l'incredibile. François Omam-Biyik devia in rete un cross innocuo che il portiere Pumpido non riesce a trattenere. È il delirio. I leoni indomabili hanno umiliato i campioni del mondo. Il Camerun sarà la mascotte di quel mondiale, ma Milla e compagni non sembrano accontentarsi del premio simpatia. La squadra arriverà, per la prima volta, ai quarti di finale dopo aver superato il girone e la Colombia negli ottavi di finale. Si arrenderanno soltanto all'Inghilterra (per altro grazie a due rigori dubbi). Come se non bastasse, 4 anni dopo quel “vecchietto indemoniato” decide di presentarsi anche negli Stati Uniti. La sua nazionale, però,non è quella dei fasti italiani e Roger Milla dovrà accontentarsi di essere il calciatore più vecchio a mettere a segno un gol nella fase finale di un mondiale(Russia-Camerun 6-1)
“Non credevo che le mie gambe ce l'avrebbero fatta-rivelerà più tardi-ma sapevo che il calcio non è solo un gioco fisico e io sono sempre stato un giocatore intelligente”.
Milla, dopo il mondiale americano, appenderà definitivamente le scarpette al chiodo, proclamato calciatore africano del secolo. La sua gente riteneva che le origini africane gli avessero impedito di essere riconosciuto come il migliore al mondo. Ma questa è un'altra storia. Perchè il “piccolo Roger”(così veniva soprannominato) sconfisse ogni tipo di pregiudizio e discriminazione; caricandosi sulle spalle un popolo intero e portandolo in cima al mondo. Il paragone con un altro scudiero dei leoni indomabili appare forzato. Quel Samuel Eto'o che gelosamente custodisce la maglietta lanciatagli proprio da Milla in un Camerun Zambia del 1985. Diverso il loro destino però. Samuel ha avuto una carriera più sfavillante rispetto al suo predecessore,ma una cosa è certa: da Milla in poi il calcio africano non è stato più lo stesso. Lui, figlio di ferroviere, diviene icona di un football nostalgico e folkloristico. Molti bambini devono a lui e a suo padre la possibilità di salire su un treno e raggiungere il calcio mondiale.La sua storia è un esempio per tutti e lo sarà per sempre. Perchè, nonostante tutto, ogni giorno,da qualche parte in questo meraviglioso continente, c'è un piccolo Roger Milla che si sveglia e sa che dovrà correre forte, più forte di tutto, per poter coronare il suo sogno.