E' un'estate da notti magiche quella italiana del 2006. Giornate in cui gli incubi diurni dello scandalo di Calciopoli si alternano a serate da sogno per la Nazionale di Marcello Lippi, impegnata sui campi del Mondiale in Germania. Tra deferimenti, richieste di penalizzazioni e retrocessioni, gli azzurri mostrano tutto l'orgoglio e la classe di cui dispongono per giungere fino alla finalissima di Berlino. Scaraventati fuori in semifinale i padroni di casa, puniti dalla saetta di Fabio Grosso a una manciata dallo scoccare del minuto centoventi e da un contropiede all'italiana chiuso da Alex Del Piero, gli azzurri volano da Dortmund a Berlino per giocarsi la Coppa con i galletti francesi, trascinati da un Zinedine Zidane in stato di grazia e da un imprendibile Thierry Henry.

L'Olimpiastadion di Berlino, teatro di altri eventi sportivi entrati ad altro titolo nella leggenda (Jesse Owens, un nome su tutti), è colorato di blu quella sera del nove luglio 2006, in una cornice iridata dove solo i flash delle foto riescono a distinguere l'azzurro scuro dei tifosi italiani dal bleu dei transalpini, rivali storici pronti al tris nei confronti di Cannavaro e compagni dopo l'eliminazione inferta al Mondiale del 1998 (rigore di Di Biagio che si stampa sulla traversa e addio ai sogni di gloria) e la terribile beffa degli Europei del 2000, quando la finale continentale venne decisa da un golden gol di David Trezeguet.

Quando le formazioni scendono in campo si capisce immediatamente che non sarà una finale mondiale come le altre. Due europee che si affrontano per il titolo, due squadre molto diverse per gioco e temperamento. E' una finale che si giocherà tutta sul filo dei nervi. Dopo pochi minuti Marco Materazzi stende nella sua area il lanciatissimo Malouda. Pochi dubbi, calcio di rigore. Sul dischetto va Zizou con le sue scarpette dorate che paiono accentuarne le doti di ballerino prestato al mondo del pallone. E' un cucchiaio un po' abbondante il suo, che bacia la traversa con la palla che va dentro, di poco ma dentro. 1-0 per i galletti e si torna a centrocampo. Gli azzurri, che stanno vivendo un mese da sogno, accusano il colpo. Ma ci pensa il solito Zambrotta di quel Mondiale, inarrestabile terzino d'assalto a dare la carica con un paio di sgroppate delle sue. Il resto ce lo mettono la grinta di Gattuso, che comincia a correre e non la smette più, il genio di Pirlo, all'epoca non ancora pienamente compreso, la difesa ferrea del duo Cannavaro-Materazzi, e davanti l'estro di un Totti a mezzo servizio ad affiancare il senso del gol di Luca Toni, spesso preferito al giovane Gilardino. Da un corner sul lato destro del campo, dipinto da Pirlo da Brescia, nasce il pareggio azzurro alla metà della prima frazione. Materazzi vola nel cielo di Berlino, sovrasta Vieira e fulmina Barthez. 1-1 e partita che si mette sui binari più consoni agli uomini di Lippi.

Nel secondo tempo l'Italia cala notevolmente dal punto di vista atletico, fiaccata dalle fatiche della semifinale contro i tedeschi. Buffon si esalta su Zidane e Henry, Cannavaro è stoico nelle chiusure e negli anticipi, il subentrato De Rossi ha qualcosa da farsi perdonare ma gioca con la tranquillità di un veterano. Un gol di Toni annullato per fuorigioco è l'unico squillo degli azzurri verso la porta avversaria. Ci si aggrappa alla tattica, al carattere e alla difesa, da sempre marchio di fabbrica del calcio italiano. I galletti attaccano, ma temendo la beffa cercano di non scoprirsi più di tanto. I regolamentari vanno in archivio con un gol per parte. I supplementari cominciano con un assedio francese, interrotto solo da una caduta di Materazzi, a terra come colpito da una baionetta. Pochi secondi e le immagini svelano l'arcano: è stato Zidane, al termine di un battibecco non esattamente oxfordiano, a colpire con una testata il petto del difensore azzurro. Nessuno in campo sembra però comprendere cosa sia accaduto. L'arbitro cerca conforto e aiuto nei suoi collaboratori, ma invano. Finchè non si dirige a bordo campo e, dopo un paio di battute scambiate con il quarto uomo, espelle Zidane. E' la prima e unica occasione in cui la prova tv viene usata nel calcio, in modo del tutto inconsueto e non ufficiale, naturalmente. Zizou lascia il campo furente (sarebbe stata la sua ultima partita da giocatore) con la Coppa del Mondo sullo sfondo che sembra sfuggire a tutta la nazione Bleu.

Si giunge stancamente ai rigori. Tirati perfettamente da entrambe le squadre, ad eccezione del recidivo Trezeguet (già in errore nella finale di Champions' League a Manchester del 2003) che stampa il suo pallone sulla traversa, che lo respinge e lo butta fuori dalla linea di porta. Il rigore di Grosso, eroe di quell'estate, consegna agli azzurri il quarto titolo mondiale della storia della Figc. E' festa, con caroselli ovunque nelle piazze italiane, la gioia è doppia, sconfitti nel giro di cinque giorni tedeschi e francesi, difficile chiedere di meglio.

A nove anni dal trionfo di Berlino l'Italia calcistica naviga in acque contrassegnate dall'anonimato. Il mancato ricambio di talenti (basti pensare che nella stagione 2014-2015 in serie A Totti, Pirlo e Toni sono stati ancora protagonisti) e l'assoluta assenza di programmazione hanno relegato gli azzurri fuori dalle big del panorama internazionale, a seguito di due Mondiali in cui il gironcino di qualificazione è risultato un ostacolo troppo alto da superare. Manca il talento necessario per competere ad alti livelli, oltre che un'idea di calcio definitivamente propositiva. E probabilmente mancano anche gli uomini capaci di andare oltre i propri limiti tecnici quando più conta. In fondo neanche nel 2006 la Nazionale italiana era la più forte, tecnicamente parlando, ma ha trionfato sfruttando anche ciò che la sorte le ha offerto, senza essere il frutto di un sistema calcistico ben definito, ciò che invece sarebbe necessario possedere oggi, nove anni più tardi.