Sul prato del Bernabeu, una pioggia di milioni, stelle cadenti. La Juventus finisce con il sorriso, i giocatori, stremati, crollano a terra, a contatto con il terreno di gioco. Le reazioni sono difformi, dalle braccia aperte di Vidal, all'urlo impetuoso di Buffon, in casa Real molte teste basse, silenziose.
Finisce la stagione del Madrid, con anticipo quella di Ancelotti, squalificato per due turni dopo l'applauso ironico riservato al direttore di gara di Real - Valencia. Per gli altri, due uscite in Liga, senza mordente, perché il Barcellona, già nel prossimo turno, è pronto a chiudere i conti.
Il Real esce, con anticipo rispetto alla tabella di marcia, esce perché non è Real. La Juventus fa il massimo, a Torino lotta e aggredisce, sfonda il tenue muro spagnolo e approfitta di ingranaggi poco oleati, punendo le scelte di Ancelotti e la scarsa attitudine al sacrificio di fuoriclasse boriosi.
A Madrid, la sfida più dura. Il Real, nel tunnel che porta al campo, ha dipinto il volto uno sguardo di scherno, di superiorità. Un gol, basta un gol d'altronde per salire sul treno che porta a Berlino. Ancelotti mette in campo la miglior formazione possibile, ritrova Benzema, sforna un centrocampo ad alto tasso tecnico, riposiziona Ramos dietro.
Allegri sa che non può solo difendersi e allora sfrutta quel che il Real concede, gli spazi tra le linee. James e Isco non possono coprire le falle del tridente offensivo, Vidal ha una chance nel primo tempo, Casillas spegne i fischi del passato. Chiellini, burbero, regala il penalty a Ronaldo, il Real a quel punto è davanti, è in finale.
Qui emerge la tendenza di molti a cedere al gusto di schernire il rivale, scherzarlo, giochicchiando. La Champions non consente questo, nemmeno ai campioni. Il Real spreca, cerca sempre la cosa più difficile, non chiude la qualificazione e dietro è incline a concedere. Pogba va alto, Morata non ha pietà. La Juve riporta la partita dalla propria parte, il finale è ovviamente d'arrembaggio, ma c'è confusione nel Madrid, perché ognuno punta a vincere la gara, senza l'aiuto degli altri. Bale è nullo, di testa sfregia l'invito di Ronaldo, il suo apporto è in due bordate da fuori.
Marchisio si fa ipnotizzare da Casillas, diventa una bolgia il Bernabeu, ma sugli spioventi bianchi svetta la Signora. A bordocampo, in tenuta elegante, Khedira e Modric, il senso della disfatta Real è in gran parte lì. Ancelotti non può contare nella giornata decisiva sul suo uomo chiave, l'unico insostituibile. La regia di Modric non ha duplicati a Madrid, senza di lui la squadra perde geometrie e equilibrio, dall'esperimento Ramos al terzetto iper-offensivo, Ancelotti non ha soluzione. O meglio la soluzione è Khedira, centrocampista di contenimento, in grado di inserirsi, ma il futuro è lontano dal Real e la sua stagione da tempo è conclusa. Ecco allora che, con imposizione presidenziale, il tecnico è costretto al tutti-dentro.
La soluzione non paga, perché James è letale se può giocare un passo avanti, dove staziona Bale, perché Benzema non è al meglio e Ronaldo, per una sera, non brilla. Il Real mette in campo i milioni e uno status da grande, ma non è all'altezza, del coraggio, della lucidità, bianconera, non è all'altezza del meraviglioso Bernabeu. Fallimento.