Zlatan Ibrahimovic ha un solo cruccio, la Champions. Ha dominato, ovunque, in territorio nazionale, dall'Olanda all'Italia, dalla Spagna alla Francia, ma la Coppa più affascinante si è rivelata tabù, sempre. Scelte sfortunate, errori. Quando lasciò l'Inter per il Barcellona Zlatan non emigrò attratto dal fascino della Liga, ma per unirsi a Messi, in una sorta di team stellare, guidato da un maestro di calcio. Beffato, vide proprio i nerazzurri di Mourinho alzare quella Coppa, eliminando i blaugrana. Se ne andò, sbattendo la porta, perché a Barcellona comandavano Leo e Pep, il filosofo, come ama chiamarlo Ibra.
Difficile coniugare il calcio potente, istintivo, di Zlatan, con il continuo, incessante, possesso palla di Guardiola. Il calcio melodioso di Pep mal si accoppia con quello "violento" dello svedese. Ibra, il nove per eccellenza, in un modulo imperniato sul falso nove. Impossibile districare la matassa.
La realtà, da tre anni, si chiama Psg. Un progetto ricco, ambizioso, con un obiettivo, la Champions appunto. Lo scorso anno un'eliminazione dolorosa, contro il Barcellona, non più di Pep. Ora un'altra sfida nobile, ancora con i catalani, ancora contro Messi, senza Ibra. Il tallone frena le voglie di Ibra e mette in ansia il Psg, che senza il totem non vince e vede il Marsiglia del Loco Bielsa scappare in Ligue 1.
Guardiola guarda, a distanza, possibili avversari. Si è preso il Bayern, ma Ibra non ha dimenticato Pep e in un'intervista a Canal +, lancia una indiretta frecciata all'ex allenatore "Avevamo la squadra migliore del mondo, ma non abbiamo vinto la Champions League per le cattive decisioni di qualcuno".
Queste invece le parole sulla realtà parigina e sull'avventura europea "Sarei felice di riuscirci, sarebbe incredibile, ma se non dovessimo riuscirci non sarebbe un fallimento. Continuiamo a crescere, ogni anno facciamo qualche passo avanti, siamo arrivati due volte ai quarti di finale e sono sicuro che faremo ancora meglio"