La scelta di Carlos Dunga va oltre il risultato, si staglia su un confine diverso, motivazionale. Quello che ha stupito della Nazionale verdeoro, nel Mondiale di casa, è stata la fragilità mentale, l'incapacità di reagire alle difficoltà del campo. Con l'ex centrocampista della viola, già in passato alla guida della Selecao, l'idea è di ricreare un gruppo forte, convinto, in fiducia.
Nell'intervista rilasciata al Settimanale "Veja" è lo stesso Dunga a esprimere in maniera inequivocabile il concetto "Quelle scene di pianto come nella partita contro il Cile stonano nel mondo del calcio. Noi siamo sessisti, abbiamo l'idea dell'uomo che non piange, anche se dobbiamo saper rispettare tutti. Lo psicologo? Non so se sia una soluzione. Non ho nulla contro, ma difficilmente un giocatore si apre in cinque minuti. La prima cosa che pensa è: 'E se racconta tutto all'allenatore?' ".
L'infortunio di Neymar si è rivelato determinante. Senza il suo campione il Brasile si è scoperto privo di difese. Ogni speranza di titolo era riposta nel talento di Neymar Junior. Il Brasile ha perso il Mondiale quel giorno, prima ancora di scendere in campo al cospetto della Germania "C'è stata troppa preoccupazione dopo l'infortunio di Neymar prima della gara con la Germania. Non mi è piaciuto. Il messaggio trasmesso è stato 'Abbiamo perso un guerriero'. Però se andiamo in guerra non possiamo fermarci a piangere le perdite. Dobbiamo dare forza al soldato che entra al suo posto".
Un attacco, senza peli sulla lingua, anche alla vena "artistica" del Brasile, a quella moda, ormai debordante, di sottomettere tutto a esigenze di marketing "Se vuoi cambiare colore di capelli, lo fai prima o dopo il Mondiale. Durante quei trenta giorni, non si parla di contratto, di famiglia, né di marketing. Se vuoi indossare un cappellino (altro riferimento a Neymar), indossi un cappellino della Seleçao".