Se ti chiami Mario Balotelli, se ti comporti come Mario Balotelli, non puoi pensare di poter passare inosservato. L'animo ribelle, l'istintività nella sua forma più alta, quasi serva talvolta dell'arroganza giovanile, quella tentazione irresistibile di accendere sempre e comunque le luci dei riflettori. L'Italia si interroga sul personaggio Mario, ancor prima che sul calciatore. Così da sempre. Da quando sbocciò nella Primavera nerazzurra, prima di gettare la maglia nella notte magica di San Siro e scappare a Manchester da Roberto Mancini. Anche ora, che la Milano, sponda rossonera, non è più accogliente come in passato.
I club sono però ora lontani dai pensieri di Balotelli, come il futuro. Conta il presente, che porta con sé la maglia azzurra. Prandelli - Balotelli, un binomio altalenante, fatto di bastone e carota, di protezione e screzi. Il Commissario Tecnico ha piena fiducia nel ragazzone nato a Palermo il 12 agosto del 1990, ma non può esimersi dal censurarne taluni atteggiamenti. Il Balotelli di questo scorcio pre-Mondiale è rilassato, sorridente, prepara le nozze e il riscatto.
L'Italia del pallone, dei tecnici da poltrona, sembra aver abbandonato Balotelli. L'appeal calcistico è ai minimi termini, mentre prepotente sale la candidatura dello scugnizzo Immobile, esploso a Pescara con il maestro boemo e pronto ora a prendersi la Bundes sotto l'egida del mago Klopp. Strano il destino. Scaricato in patria, Mario resta colorato di rosso sui taccuini del resto del Mondo. Lui, insieme a Pirlo e Buffon, è per tutti l'elemento rappresentativo della nostra Nazionale, temuta, per esperienza e capacità di fornire il meglio partendo dal peggio.
Contro l'Inghilterra toccherà ancora a Balotelli. Poco importa che non segni da mesi con l'Italia, che non soddisfi le richieste di Prandelli, che lo vorrebbe più attaccante d'area, cecchino spietato, perché alla resa dei conti dipendiamo da Mario, dalla sua forza soprannaturale, dal suo talento, intermittente, ma accecante. Nel nuovo modulo varato dal nostro tecnico, il 4-1-3-1-1, con Candreva alle spalle di un'unica punta e altri centrocampisti pronti all'inserimento, troppo importante il ruolo di Balotelli, capace di dare respiro, far salire la squadra, liberare spazi e innescare movimenti altrui. Mario è per certi versi meno prima punta di Immobile, più portato ad attaccare la profondità, ma di certo è più incline allo sviluppo della manovra, ama stare al centro del gioco.
Un giorno a Manchester alzò la maglietta e chiese "Why always me?". Tante le possibili risposte, un sol modo per cancellare la domanda. Conquistare il Mondiale, trascinare l'Italia.