Lasciamo il gotha del calcio mondiale e ci prepariamo, con un briciolo di tensione, o forse più, al sorteggio di fine anno, che sceglierà i nostri avversari al caldo del sole brasiliano. Per la prima volta la nazionale azzurra scende dal parterre dei grandi e affronta non da testa di serie il mondiale verdeoro. Colpa nostra, meglio dirlo subito. Due pareggi, stentati, condannano la banda Prandelli a sudare freddo. A incocciare il cammino con pericolosi pretendenti all'iride. Messi, o, perché no, i padroni di casa possibili “massi” da spostare verso l'appuntamento finale. Ma vediamo il perché di questa inattesa, e forse non così deleteria, caduta.

 

A balzare all'occhio è chiaramente la fase difensiva. Quattro gol contro due avversari modesti. La doppietta di Bendtner a Copenaghen prima, il duo armeno poi. Mhkitaryan è giocatore di indubbio talento, ma altrettanto palesi sono le responsabilità azzurre. In Danimarca gli errori erano stati del duo Buffon - Balzaretti, al San Paolo è Marchetti ad alzare bandiera bianca con un'uscita avventata, dopo il disastro in avvio di Aquilani. Errori di concentrazione, di singoli, forse più che di reparto. L'Italia che incassa 9 gol in tutto il girone di qualificazione, ne concede 4 nelle ultime due uscite a passaporto brasiliano ottenuto. Non può essere un caso. Come non può esserlo il prepotente allargarsi delle crepe difensive all'assenza di Andrea Barzagli. Soffre la Juve di Conte senza il tassello più prezioso di un mosaico collaudato, così la banda Prandelli. É lui a guidare e dirigere. In sua assenza il traffico si fa indomabile e tanto Ranocchia-Chiellini, quanto Bonucci-Astori mostrano preoccupanti limiti.

 

Funziona il reparto offensivo. 19 le reti segnate dalla nostra nazionale. Su tutti Mario Balotelli. Chi se non lui? Cinque centri per il rossonero, che respinge le ultime accuse e laconico lascia i giornalisti con poche parole “Voi parlate, io segno”. Il carattere e il talento vanno di pari passo. Difficile entrambi da limare, contenere. Strabordano, tanto sul campo, quanto fuori. Conviene forse mettersi l'animo pace. Lasciare che Balotelli sia Balotelli. A volte indigesto, spesso decisivo. L'undici azzurro non può prescindere da Mario. Cardine, fulcro, accentratore. La catena Pirlo - Balotelli ha costruito il pareggio a Napoli e si prepara a “montare” nuove sceneggiature fra meno di un anno. Dietro il bad boy cresce Osvaldo (opaco ieri sera), rientra Rossi, brilla Insigne. Prandelli può star tranquillo.

 

Mentalità. Basta Prandelli a chiarire il concetto “Siamo stati imbarazzanti”. Vero. Troppo brutta per essere vera l'Italia dei primi venti minuti. In balia di se stessa. Capricciosa, sbandata, imprecisa. Come se nella testa azzurra il filo del campo fosse stato interrotto, dopo il risultato conseguito. Presi a sberle si è reagito, ma tardi. E si è rischiato, come già con la Danimarca. Le amichevoli avevano già lanciato un cattivo presagio. Nel 2013 l'Italia di Prandelli ha vinto solo con San Marino, poca cosa, mentre ha perso con l'Argentina, malamente impattato con Haiti (!) e pareggiato, faticando molto, con Brasile e Olanda. Senza nulla in palio, privi delle giuste motivazioni, i nostri non riescono a trovare il furore agonistico, la necessaria voglia di dimostrare comunque di essere grandi. Il cambio di modulo, difesa a 3 e a 4, il variare fluttuoso di interpreti (tanti cambiamenti negli ultimi due incontri, come nelle precedenti uscite) non ha forse aiutato. Lo stesso Prandelli ha tolto probabilmente identità alla squadra, estrapolando certezze fissate dalle prime gare di qualificazione. Testando e mescolando a dismisura. Ma non può essere solo questo. Bisogna sperare non sia solo questo. É l'approccio a fare la differenza. Forse, quel possibile sorteggio che oggi appare insidioso, si rivelerà fra qualche mese benefico. Proprio dopo quel maldestro pareggio haitiano, l'Italia, in Confederations Cup soggiogò il tiqui taca spagnolo, cedendo solo ai rigori.

 

In questo altalenante intrecciarsi di momenti di bellezza calcistica e ombre ingombranti è sempre più difficile rinunciare a simboli, che lampeggiano oltre il terreno di gioco. Buffon si dimostra uomo fondamentale quando manca, ancor più di quando c'è. É espressione di leadership, aldilà di possibili incertezze. Con lui De Rossi. É una spina dorsale, completata da Pirlo e Balotelli a cui Prandelli sa di non poter rinunciare. Oggi, soprattutto domani.