Neymar e Balotelli. Poi Iniesta. Squilli di Italia e Brasile ai campioni di tutto. Pronta risposta. L'illusionista sale al proscenio e trascina la Spagna, bella, bellissima. L'Uruguay assiste impotente allo show di tecnica, velocità e eleganza della nazionale di Del Bosque. Segna Pedro, fortunato, raddoppia Soldado, prima del lampo finale di Suarez. Un'esibizione. La solita infinita ragnatela, tessuta dal sapiente Xavi. Meriti propri, demeriti altrui. Poca cosa Lugano e compagni. Lontano il 2010. Lontano il Mondiale che consacrò Tabarez e i suoi. Due fuoriclasse, Cavani e Suarez, qualche buon giocatore, poco altro. La sensazione che un ciclo volga al termine. Tra un anno c'è la rassegna verdeoro. Potrebbe esserci nonostante tutto l'Uruguay, difficile ci sia da protagonista. Ci sarà eccome la Spagna e come sempre bisognerà fare i conti con lei. Da Recife un telegramma chiaro. I campioni da soli non abdicano, bisogna scalzarli dal trono. Roba da supereroi. Roba da Super Mario.

 

Del Bosque sorprende. Sorprende la Spagna. Per tutti Spagna-Uruguay, incontro clou di un gruppo completato da Tahiti e Nigeria, doveva essere il titanico scontro tra la devastante qualità offensiva della Celeste, esemplificata dal duo Suarez-Cavani, ammirati dal Real e da mezza Europa, contro il palleggio sublime degli artisti di catalogna. L'attacco che incute paura contro la squadra che incute paura senza attacco. Vicente, a cui manca solo la Confederations con la roja per completare un quadro di trofei senza eguali, si affida invece a una punta vera. Non Torres però, l'uomo d'Europa del Chelsea, l'uomo di tante notti spagnole, ma Soldado, che a Valencia ha trovato continuità e sicurezza. Il falso nueve abbandona la scena. Un palleggiatore in grado di togliere riferimenti agli avversari, lascia il posto a un centravanti vero, in grado nei momenti difficili di far salire la squadra. Vertice alto e vertice basso. Casillas, in panca nel Madrid di Mourinho, il leader del movimento anti-Mou, lui simbolo della calma del Bernabeu, in perenne disaccordo con gli spinosi atteggiamenti di Josè, pareva destinato ad accomodarsi a bordo campo. Lui seduto e Victor Valdes in campo. Ma ci sono giocatori che vanno oltre il campo. Importanti a prescindere dal momento. Iker è simbolo blanco e capitano dei rossi. É leader, sempre. E allora Del Bosque ha scelto anche questa sera di andare con lui. Con il fedelissimo. Il “soldato” a cui non si rinuncia.

 

Tabarez sceglie un centrocampo di contenimento. La diga Perez-Gargano per arginare l'onda spagnola e Gaston Ramirez per ribaltare l'azione e innescare i due straordinari terminali d'attacco. Chiara l'intenzione dell'Uruguay nei primi minuti. Squadra corta, pallino in mano agli avversari, difesa attenta. Peccato che il “muro” non abbia fondamenta valide per resistere a tali bordate. Venti minuti e la Spagna è già avanti. Il gol è fortuito. Una sfortunata deviazione di Lugano sul tiro di Pedro, nato dagli sviluppi di un calcio d'angolo battuto da Xavi, ma è naturale conseguenza di quanto si vede in campo. Poco prima era stato infatti Fabregas a far tremare il palo alla destra di Muslera e poco dopo è ancora Xavi a disegnare una magica parabola che per poco non infiamma pubblico e addetti ai lavori. Il raddoppio è questione di tempo. Poco. Ed è pagina tratta direttamente dal manuale del calcio. Tre istantanee di football. L'uscita in palleggio di Iniesta, a testa alta, in mezzo al vorticante pressing uruguaiano è da mostrare nelle scuole calcio, come la finta di tiro, con assist, di Fabregas. La freddezza sottoporta di Soldado è poi da grande attaccante. 2-0 poco dopo la mezz'ora. Pessimo Pereira nell'occasione. La partita si accende e come ovvio diventa rude. L'Uruguay non ci sta e alza il livello dell'intensità fisica. Sul taccuino dell'arbitro finiscono Cavani, Lugano e anche Piquè per i rossi. Muslera salva proprio su quest'ultimo al minuto trentotto evitando una punizione ancor più severa. La Celeste è tutta in un acuto di Cavani e nella voglia inespressa di Suarez. Troppo poco.

 

Il secondo tempo è un saggio del famoso tiqui taca che ha reso il Barca un modello e la Spagna imbattibile. Iniesta dipinge. Un pittore sul prato verde. Un direttore d'orchestra con la bacchetta. Tabarez inserisce il laziale Gonzales e Lodeiro, per rivitalizzare un centrocampo surclassato dai piccoli docenti iberici, ma lo spartito non cambia. Soldado sfiora il 3-0, mancando di poco l'appuntamento col cross di Pedro, poi è proprio l'autore del primo gol a sfiorare la doppietta, colpendo al volo dall'interno dell'area. Del Bosque sceglie dall'infinita panchina Cazorla, per il suo primo avvicendamento. Lui per Fabregas. L'Uruguay si gioca le ultime chance. Dentro anche Forlan, per presenze e reti icona di questa nazionale. Addirittura fuori Perez. Non riuscendo a gestire la zona nevralgica, dove il palleggio iberico è rebus senza soluzione, prova l'ex allenatore del Milan ad aumentare il peso del reparto avanzato. Tre tenori per un'impresa impossibile. Una punizione alta. Il fatturato dell'ex colchoneros. Non spinge ormai più la Spagna, che attende solo il triplice fischio finale. Spazio anche per Mata, dominante al Chelsea, e qui addirittura a guardare, e Javi Martinez, uno dei segreti del Bayern di Heynckes. La giusta standing ovation per Xavi. La festa è completa. Il brivido finale lo regala Suarez. La sua punizione sorprende Casillas e regala una manciata di minuti di speranza. Vana. Finisce 2-1. Ora, per la Spagna, due allenamenti con Nigeria e Tahiti, prima della semifinale. Lì arriverà il primo test vero, ma il problema, se la roja è questa, par degli altri.