Una camminata. Per scacciare pensieri e tensioni. La truppa Prandelli ha percorso, con famiglia al seguito, la scalinata che porta al Cristo Redentore. Corcovado e la sua montagna per scacciare i fantasmi post Haiti. La Repubblica Ceca, Praga, come campanello d'allarme, l'inedita amichevole, irrinunciabile a detta dello stesso Ct, visti i nobili fini, segnale inequivocabile. Gli azzurri sono in riserva, di benzina e di idee. Lenti, prevedibili, il tutto con la Confederations Cup ai nastri di partenza. Il tutto in un girone ricco di insidie. Del talento del Brasile inutile parlare, una serie di giovanotti sfrontati senza eguali. Un leader come Thiago Silva, padrone di un agglomerato di genialità, forse ancor privo di una identità di squadra, necessaria per vincere trofei importanti. Il Mondiale tra le mura amiche per intenderci. Lasciando da parte i verdeoro, occorre prestare attenzione sia agli asiatici di mister Zaccheroni, che hanno già strappato il pass per la massima competizione, sia ai messicani. Un nucleo di ragazzini terribili, calati alla perfezione nel meccanismo oliato, guidato dai più esperti. Nomi altisonanti come quello del Chicharito Hernandez e di Giovani dos Santos, prodigio nel Barcellona, poco più che bambino, e poi parzialmente perso nei meandri di un'infinita cantera. Loro a guidare la revolucion mexicana. Il Brasile ha già conosciuto i verdi all'ultima Olimpiade ed è rimasto scottato. Sicuro dell'oro olimpico, ha di colpo fatto i conti con la realtà. Molto semplicemente il Messico ha meritato di vincere. Non son certo vittima sacrificale.
Le sirene del mercato destabilizzano e non poco l'ambiente azzurro. Da El Shaarawy a Marchisio, impossibile non prestare ascolto a giornali e addetti ai lavori. Il faraone e il principino, due che parevano intoccabili ora sulla graticola. L'addio di Ibra ha portato all'esplosione di El Sha, l'arrivo di Balotelli ne ha tarpato le ali. Nel Milan, come in Nazionale. Corsa, abnegazione, voglia, ma spesso confusione e errori banali. La fiducia, massima forza di ogni calciatore, sembra scemata. Sono arrivate le panchine nel club e ora potrebbero arrivare in azzurro, complice anche un affaticamento che lo ha costretto a saltare qualche allenamento. E Marchisio? Eletto a icona della juventinità, simbolo bianconero. Lui cresciuto a Vinovo e diventato grande con la casacca bianconera. Lì allo Juventus Stadium sembrava destinato a imperare fino al termine della carriera. Claudio dopo Alex. Poi però si è fatta strada la necessità di arrivare a un top player, a un grande attaccante e Marchisio di colpo non è parso incedibile. Perché Vidal è il guerriero di Conte, Pirlo alla sua età ha meno mercato e Pogba è la scommessa vinta. In caso di rinuncia a qualche stella, sarebbe proprio quella del principino a non brillare più nel firmamento di Agnelli. Con buona pace dei tifosi.
La difesa fondata sul blocco Juve, rappresenta la certezza di questa Italia. Buffon tra i pali, Chiellini, Barzagli, Bonucci. La non perfetta condizione di quest'ultimo, par favorire l'inserimento a sinistra di De Sciglio, con conseguente spostamento in mezzo di Chiellini. In mediana la sapiente regia di Pirlo, con ai lati De Rossi e Montolivo, poi possibile il doppio trequartista. Favorito Giaccherini, autore del gol del vantaggio contro Haiti, per una Nazionale più di corsa e meno di talento, con Marchisio. Prandelli nel momento difficile si affida ai gregari. Meno svolazzi, più concretezza, ben sapendo che una sconfitta all'esordio comprometterebbe e non poco il cammino in Confederations. Là davanti Balotelli, che, come confermato in conferenza da Prandelli, ha recuperato dal leggero problema al bicipite femorale, sperando sia quello vero. Il calciatore dall'infinito talento e non il bullo pronto a reagire alle provocazioni. Quello si è già visto nell'ultimo match di qualificazione, si è già visto troppe volte. Se si vuol entrare nel firmamento del pallone, non basta essere una fuoriserie calcistica, occorre essere anche una “fuoriserie comportamentale”.
Il Messico è chiaramente, a livello tecnico, inferiore all'Italia. Non ha Peralta, il giustiziere del Brasile, e soprattutto Vela, che ha guidato la Real Sociedad nella massima competizione europea, dopo essere esploso in maglia gunners, in rotta con l'allenatore Josè Manuel De La Torre. Un undici di corsa. Oltre ai già citati Hernandez e Dos Santos, il valenciano Guardado e il tuttofare Salcido. Quattro uomini offensivi (con Barrera), in grado di intercambiarsi e non fornire riferimenti alle retroguardie avversarie. Le tre partite di qualificazione in rapida successione, prima dell'esordio con gli azzurri, dovrebbero averne fiaccato gambe e testa, ben più di una passeggiata con Haiti. Dovrebbero. Anche il Brasile avrebbe dovuto festeggiare l'oro olimpico. This is football. Lo sa Prandelli, lo sa l'Italia. Si comincia. Con la Confederations per preparare un sogno più grande.