Per una squadra che trionfa dopo una strameritata vittoria costata fango, sudore e lacrime, ma soprattutto tempo, quell'attesa della "prossima occasione" fatta di demoni che possono lacerarti l'anima, e cuore - il fatto di essersi rialzati subito, renitenti al fato avverso ed essere tornati più forti di prima, ce n'è sempre un'altra che, mesta, se ne torna a casa sconfitta, nel silenzio assordante e meditabondo dell'occasione persa. All'immagine dei cori festanti di Baviera si contrappone la postura contrita e quasi luttuosa degli eroi malinconici in abito scuro e dal volto ancor più rabbuiato dei giocatori del Dortmund.
Eppure c'è la consapevolezza in Klopp e nei suoi ragazzi (perché questo in fin dei conti sono e rimangono) di essersela giocata con orgoglio questa finale, per cui è giusto e legittimo stringersi in un unico abbraccio giallonero e salutare tutti a testa eretta a fine partita, uscendo con onore dall'arena londinese che li ha visti battuti. Per una vittoria dal valore catartico del Bayern, una vittoria figlia di tante sconfitte, nasce dall'altra parte una sconfitta che inaugura però nuovi significati e nuovi stimoli.
Esiste comunque un peso specifico differente negli esiti di questo confronto sull'Olimpo d'Europa. La sconfitta per il Borussia Dortmund non assume i connotati d'inaccettabilità che avrebbe invece assunto per il Bayern Monaco. Vero che i Bavaresi quest'anno hanno evidenziato una prova di forza davvero formidabile abbattendo qualcosa come 24 record in Bundesliga, e la forza dei numeri lo sappiamo, possiede intrinsecamente quel potere dell'incontrovertibile oggettività matematica, quasi una verità metafisica. Tuttavia uscire perdenti da Wembley avrebbe cancellato in qualche modo anche tutto questo. Nulla avrebbe pareggiato i conti con l'ipotesi di un terzo insuccesso in Champions League dopo le tre volte in finale negli ultimi quattro anni. L'ombra del fallimento sarebbe stata ben più larga e tenebrosa dalle parti di Monaco di quanto non lo sia ora a Dortmund, per un club, quello guidato da Klopp, che ha sì messo in bacheca due Bundes consecutive negli ultimi tre anni, ma non partiva col favore dei pronostici in questa sfida nazionaleuropea.
E il campo, in termini pragmatici, quale verdetto ha emesso in ultima analisi se non quello di un Bayern con più riserve d'ossigeno e di fibra muscolare (intendiamo nell'economia di un'intera stagione) e con più qualità proporzionalmente distribuita trai singoli giocatori, da poter contrapporre, in un confronto in cui l'intensità è la vera chiave di successo (rendimento massimo nel minimo periodo di tempo), a un avversario visibilmente più affaticato e meno lucido nella totalità dei 90 minuti. E soprattutto due realtà con energie psicofisiche diverse, con il Bayern condannato a vincere, e condannato anche a dimostrare di saperlo, poterlo e volerlo fare, con una fame da leone che vede in quella fatidica Coppa la sua preda da azzannare. Il Dortmund, che non è lì per caso, non è ancora mosso dalla forza di questi obiettivi. Può solo e semplicemente sognare la ribalta internazionale dopo uno splendido lavoro triennale e sperare di arginare lo strapotere assoluto di un Bayern in odore di Triplete. Motivazioni un po' diverse.
E penetrando ancor più nello specifico, un primo tempo del Borussia da annali di storia del calcio, la sinfonia della pressione unita alla meccanica di gioco perfetta, spaventosamente perfetta. Ritmi forsennati, equilibri e dinamiche psicocinetiche che non potevano durare, e che hanno ceduto alla distanza perché i giocatori del Dortmund hanno più minuti totali nelle gambe di quelli del Bayern nel corso della stagione, poiché il Bayern è una squadra più ricca con una rosa decisamente più competitiva che può permettersi altre riserve, cosa questa che va riconosciuta. Punto. Götze e Kroos fuori dai giochi per infortunio rimane una qualità individuale che se comparata evidenzia di gran lunga un vantaggio bavarese: 22 ottimi giocatori ma più uomini chiave da parte del Bayern a poter decidere la partita. Reus e Lewandowski sono fuoriclasse universalmente riconosciuti galassie limitrofe comprese, ma Ribéry e Robben non ce li ha nessuno. Pur tuttavia, pareggio ostinato e gol risolutore last minute a decretare una vittoria faticosa assai.
Dunque testa non alta ma altissima per un Borussia Dortmund che non avrà certo bisogno di autostima per ripartire e continuare a credere nell'obiettivo già fissato (Berlino 2015, Klopp dixit), ma soltanto di una consapevolezza: a Wembley è stato secondo solo alla squadra più forte del mondo.