Il primo atto di una serie lunga sette gare è importante, ovviamente, ma non determinante. Tuttavia, all'interno delle pieghe della nozione oramai ben conosciuta nelle dinamiche cestistiche, statunitensi ma non solo, ci sono delle eccezioni, che spesso confermano la regola ma che altre volte la smentiscono, capovolgendo anche le dinamiche e le gerarchie iniziali. Sebbene sia presto per emettere i primi verdetti di una sfida appena iniziata, la vittoria della Reyer Venezia in gara-1 contro la straripante Olimpia Milano deve far riflettere, e non poco, Jasmin Repesa, nella cui casa il campanello d'allarme starà suonando e molto vigorosamente. L'impeto e la convinzione con la quale gli sfacciati lagunari si sono presentati al PalaDesio è il biglietto da visita che questa serie, per Milano, sarà tutt'altro che una passeggiata di salute. 

Venezia è arrivata alla semifinale dei playoff scudetto in maniera sorniona, quasi silenziosa, e come una Cenerentola che si presenta al primo ballo, paga lo scotto iniziale di chi, forse con fin troppo timore reverenziale nei confronti dell'avversaria, lascia sfogare i rivali. L'inizio di Milano, invece, è lo specchio delle idee tattiche del santone che siede in panchina, che decide assennatamente di provare a sfruttare la maggiore stazza dei suoi lunghi per approfittarne sotto canestro. Batista e Sanders sembrano dare ragione ai piani del croato, anche se sono i soli a realizzare nei primi minuti di gioco. La situazione che si crea in campo è quella di uno squilibrio a dir poco paradossale all'interno della squdara milanese, che tende ad escludere dal gioco e dalla gara gli altri protagonisti, non per cattiveria o protagonismo, bensì per l'estremizzazione dello svolgimento del piano tattico. 

Se da una parte i fari del gioco sono ben definiti dall'altra, con il passare dei minuti, Venezia si scioglie ed inizia a martellare, dalla distanza come in penetrazione, la statica difesa milanese, muovendo alla perfezione la sfera sul perimetro e trovando scarichi puliti per i tiratori. Gli esterni fanno la differenza, dettando il ritmo di gioco in attacco ed alzando l'intensità difensiva a piacimento in difesa. Da Ress a Viggiano, da Green a Tonut: i lagunari prendono mano a mano confidenza con l'ambiente e con i ferri del palazzetto ospite, acquisendo consapevolezza ulteriore nei propri mezzi. Di contro, le certezze di Milano tendono a poco a poco a sfaldarsi, e quando le contromisure adottate da De Raffaele su Batista iniziano a dare i frutti, dal perimetro le polveri sono decisamente bagnate: che il tiro da tre, assieme a tanti altri fattori, determinasse le sorti nel di una partita di basket di questi tempi era oramai risaputo, e stavolta, purtroppo per l'Emporio Armani, condiziona negativamente l'esito del match. I lombardi iniziano a forzare in attacco, individualmente e mai di squadra, facendo riemergere vecchie ruggini tecniche che non permettono mai ai padroni di casa di trovare la via del canestro (sarà 3/21, per un misero 21% a fine gara, per i padroni di casa). Di contro, la serenità degli ospiti e la libertà della testa nelle scelte offensive consentono a Venezia di scavare il solco decisivo che vale la vittoria ed il fattore campo ribaltato.   

De Raffaele e Venezia confermano i progressi visti nella serie vinta contro Cremona, e riescono ad ottenere un risultato prestigiosissimo grazie soprattutto alla vecchia guardia, con Tonut, Bramos ed Ortner che spalleggiano alla perfezione il solito Mike Green. Il tutto, senza particolari fiammate di Jeremy Pargo, ricercato numero uno dalla difesa milanese che ha messo a referto soltanto quattro punti. In vista di gara-2, prevista sempre a Desio sabato sera, Milano spera di ritrovare la fondamentale arma del tiro da tre per scalfire la difesa veneziana, che nel frattempo si gode il vantaggio nella serie ed una tranquillità mentale che invece potrebbe far vacillare ulteriormente la corazzata di Repesa.