Bresciano, 51enne, Sergio Scariolo è uno dei coach più apprezzati della pallacanestro europea. Comincia la sua carriera nella città natale, dapprima come assistente di Riccardo Sales, poi di Carlo Rinaldi. A 24 anni coglie il primo successo, guidando la Nazionale Militare al titolo iridato. Seguono 3 anni come assistente allenatore a Pesaro, dove con coach Bianchini vince lo scudetto nel 1988. A 29 anni diventa capo allenatore a Pesaro, vincendo subito il titolo italiano e costringendo, in una gara amichevole, i Knicks ai tempi supplementari.

L'anno successivo si arrende alla Jugoplastika Spalato di Kukoc nella Final4 di Coppa Campioni. Dopo 2 stagioni a Desio, approda alla Fortitudo, dove in 3 stagioni passa dalla salvezza ottenuta con 6 punti di penalizzazione alla finale scudetto. Nel 1997 comincia la sua avventura spagnola, iniziata al Tau Vitoria (una finale scudetto e una Copa del Rey) e proseguita col Real Madrid (1 scudetto e 1 finale in 3 anni).

Dopo un anno sabbatico trascorso negli Usa e la sfortunata parentesi virtussina, approda a Malaga, dove vince una Copa del Rey e raggiunge la semifinale nell'Eurolega. Nel 2008 si trasferisce al Khimki, che conduce alla finale di Eurocup. Nel 2009 riceve il prestigioso incarico di guidare la Nazionale spagnola (incarico lasciato da pochi giorni), con cui vince 2 titoli europei e l'argento alle Olimpiadi. Nel 2011 torna ad allenare in Italia, sedendosi sulla gloriosa panchina dell'Olimpia Milano.

Due Europei e l'argento Olimpico. Cosa le rimane di questi anni in Spagna?

“E' stata un'esperienza che mi ha arricchito tantissimo, a livello di soddisfazioni, rapporti umani, di situazioni irripetibili. Ho imparato tanto, da grandi giocatori e grandi dirigenti. Ed è stata anche molto responsabilizzante, perché ho rappresentato non un club, ma un'intera nazione”.

Cosa porterebbe in Italia del basket spagnolo?

“Senz'altro tutti gli anni di lavoro svolti dalla Federazione Spagnola. Ci sono molti aspetti, fattori di ispirazione, che potrebbero essere importati dalla Federazione Spagnola, che è riconosciuta come la migliore per efficienza e successi. Gli impianti, poi: sogno che l'Italia possa avvicinarsi alla Spagna su questo aspetto, non soltanto a livello dei grandi club, ma anche per quanto riguarda lo sport di base, gli impianti sportivi per le scuole, così da incrementare la quantità in cui cercare la qualità “.

Come si spiega una generazione di italiani in NBA?

“Partirei innanzitutto dalla qualità del lavoro di istruttori e allenatori, alta e riconosciuta internazionalmente non solo nella pallacanestro ma in tutti gli altri sport, molto più di quanto accada nella stessa Italia. In Italia la cultura del risultato a ogni costo, la non cultura della sconfitta, l'incapacità di fare valutazioni al di là del se si è vinto o se si è perso, sono grandissimi freni nella crescita di un gruppo e dei talenti “.

In Italia i giovani trovano spazio per giocare?

“Non vedo un numero alto di giocatori di 19/20 anni impiegati. Noi, a Milano, ci impegniamo a dare almeno 20 minuti di gioco, anche in Eurolega, a giovani promettenti. Posso però fare l'esempio positivo di Varese, che ha giocatori come De Niccolao e Polonara, che hanno un ruolo importante nella loro squadra, che guarda caso sta andando molto bene”.

L'Olimpia cambia ogni anno il quintetto base. Non sarebbe meglio dare continuità?

“Senz'altro dare continuità a un gruppo di giocatori è un asset importantissimo non solo per la squadra, ma anche per la società e il pubblico. Purtroppo a volte ci sono situazioni di mercato che non lo permettono, per esempio noi volevamo confermare anche più giocatori rispetto ai 7 che sono poi rimasti. Radosevic dovrebbe rientrare l'anno prossimo, è stato mandato in prestito in maniera mirata per fargli giocare molti più minuti, in Eurolega, in una squadra come il Lietuvos Rytas, famoso proprio per saper migliorare i giovani”.

Un giovane talento italiano che vorrebbe avere in squadra?

“Achille Polonara. Oltre le qualità atletiche, che sono sicuramente difficilissime insegnare, ha anche motivazione, fame...Ma lo dico per "gioco", Polonara è già oggi molto ben allenato da Vitucci”.

E il giocatore che avrebbe voluto allenare?

“Michael Jordan. Tutti avrebbero voluto farlo, non solo per il suo talento, ma anche e soprattutto per la sua competitività e per la sua leadership. Uno di quei giocatori che rendono più facile il lavoro dell'allenatore, e che osservando con attenzione noti che non fanno solo 30 punti, ma che fanno in campo tutte le cose necessarie per vincere”.

Una partita che avrebbe voluto vincere

“La finale Olimpica è una cosa che nella vita di uno sportivo capita poche volte. L'ho giocata con una squadra che aveva una quantità di talento inferiore rispetto all'avversaria, ma molta competitività, compattezza, coesione”.

Intervista realizzata da Diego Molfese e Andrea Barosi