Francesco De Gregori narrava le gesta di Nino, un ragazzino di appena 12 anni che scorrazzava per i campi mettendo anima e corpo nel gioco del pallone. Lottando tra le difficoltà, le atrocità e le bruciature che uno sport può infliggere. Un saliscendi di emozioni, un testo che ci insegna a modellare il gioco nella crepe della vita; ma anche a non darsi mai per vinti. Decisamente mai. Chissà cosa avranno pensato due tennisti sulla soglia dei 36 anni, attesi da un declino inesorabile, quanto falso. Perché Serena Williams e Roger Federer non sono semplici praticanti della racchetta bensì decantatori di tennis, esperti cultori difficili da estirpare. E menomale, aggiungerei con estrema e ferma decisione.
Federer, il Re, il maestro svizzero. Era stata delicata come una foglia che si adagia sul cemento, atroce come un omicidio brutale. Parliamo dell'erba di Wimbledon, che ha sedotto e poi mollato il suo fedele adepto consegnadolo nelle mani di un dottore. Eggià, perché dopo la sconfitta con Raonic è iniziato il periodo nero, buio. Federer è costretto ai box per sei mesi, il ginocchio fa male, occorrono cure mirate. Salta diversi tornei, 4 Masters 1000, Us Open e le ATP Finals. Crollo in classifica, 17° posizione. Decide di non partecipare a nessun torneo ufficiale, riparte dalla Hopman Cup in un 2 Gennaio che sancisce la deadline del suo incubo. 8000 spettatori all'allenamento fissato a Perth, boato ad ogni punto nella sua prima uscita dell'anno novello. Sempre Australia, Melbourne Park, Slam che apre la stagione tennistica. Roger ci arriva senza enormi pretese; profilo basso e tante speranze. I primi turni sono difficoltosi, serrati e non brillanti, si rammendano informazioni che vedono un Federer già con la valigia in mano. Con Berdych viene a galla il concetto primo di perfezione, si osserva lo svizzero volteggiare in campo. Nishikori è un guerriero da cuocere a fuoco lento, da far sfogare prima di offenderlo con la stessa moneta. Poi M.Zverev, randellatore mancino amante del romantico serve and volley, e Wawrinka, ribattitore ad una mano con la bandiera rosso crociata cucita in petto. Infine Nadal, il nemico per eccellenza, colui che lo ha sotterrato più e più volte. Stavolta c'è rivalsa, c'è una tattica ben precisa, offensiva e cinica. Anticipa le risposte, fa viaggiare il rovescio su un cemento più rapido e contiene i colpi slice. Game, set and history. Diciotto Slam, il più forte di tutti, ancora una volta.
Serena, la leonessa, l'indomita campionessa. Amaro, pungente, invadente. Quel 12 Settembre tinteggiato a stelle e strisce lo ricorderà bene: la frizzante e altezzosa Pliskova le infliggeva una sonora sconfitta. Eccellente in risposta, veloce negli spostamenti, incredibilmente profonda. Dall'altro lato del tabellone - invece - la Kerber proseguiva la personale razzia di punti e di conseguenza posizioni. Estromessa la Wozniacki si prendeva la vetta, poi glissava il tutto con la vittoria Slam. Anno fantastico. Serena tornava a casa ciondolante e con pressanti domande in testa. Il 2017 era l'anno che avrebbe dovuto sancire la lenta decadenza dell'impero Williams. Invece le sorelle hanno raddoppiato, double in finale. Ma soffermiamoci su Serena: occhio vigile ad osservare il cerbiatto Angelique, già barcollante ad inizio anno (sconfitta a Brisbane dalla Barty). L'enfant prodige Bencic - la quale nuota in acque difficoltose - non le reca danno. La maestra di doppio Safarova viene spazzolata in due set. Come ogni avversaria d'altronde, l'americana non lascia per strada nemmeno un parziale. Facile compito con la Gibbs, maggiormente problematica la pratica Strycova. Ma superata - ad ogni modo - con determinazione. Le due tenniste maggiormente in forma vengono ridicolizzate: prima è il turno della Konta - N°9 al mondo - dopo della Lucic-Baroni, la quale ha riscritto la sua personale favola 16 anni dopo l'ultima volta. Atto finale strabiliante, inaspettato; c'è la sorella, amica di mille battaglie, confidente, sfidante, ad aspettarla dall'altro lato della rete. Potenza straripante, talento e delicatezza. Perché Serena sa esserlo quando l'economia dello scambio lo richiede. Segna 23 la casella, superata la Graf. A 35 anni, davvero? Vien da ridere.