Dopo aver sfruttato un tabellone non impossibile, Andy Murray si è qualificato ieri per la terza finale dalla carriera a Wimbledon, battendo con un periodico 6-3 il ceco Tomas Berdych, in un incontro molto meno combattuto di quello che aveva visto prevalere nel primo pomeriggio il canadese Milos Raonic sullo svizzero Roger Federer. E tre è il numero che contraddistingue il magic moment dello scozzese: terza finale consecutiva in un torneo dello Slam, dopo le due perse a Melbourne e Parigi contro Novak Djokovic, tre i set necessari a stendere l'incompiuto Berdych, e terza finale ai Championships, che segue quelle delle edizioni del 2012 (sconfitta con Federer) e 2013 (vittoria su Nole). Tre anche come i titoli Major che il britannico potrebbe mettersi in bacheca, considerando anche gli Open degli Stati Uniti di quattro anni fa.
Per Murray non è stato difficile sbarazzarsi della concorrenza di Tomas Berdych, troppo esitante per costituire un vero pericolo nella corsa alla finale di domani, che ha avuto un momento di stop e di appannamento nel quarto contro il francese Jo-Wilfried Tsonga, autore di una rimonta incompleta che aveva comunque spaventato l'intero centrale di Wimbledon. Dominato il match con Berdych, salvo qualche passaggio a vuoto tipico di Murray, l'allievo di Ivan Lendl si appresta a vivere con maggiore tranquillità le prossime ore di attesa, frutto di una lunga esperienza come finalista di uno Slam (quella di domani sarà la decima in un Major, con uno score di due vittorie e sette sconfitte). Avversario quel Milos Raonic già battuto sull'erba del Queen's esattamente tre settimane fa: "Oggi sono stato molto tranquillo - ha riconosciuto lo scozzese in conferenza stampa - anche per l'andamento del match, che è andato via veloce, senza grosse complicazioni. Adesso dovrò giocarmi per la prima volta in carriera una finale contro un giocatore diverso da Federer e Djokovic, quindi credo che cambieranno molte rispetto alle mie precedenti esibizioni. Con Milos ho giocato contro poche volte quest'anno, ecco perchè la finale del Queen's potrà aiutarmi. Lui è un giocatore diverso sull'erba, quasi tutti su questa superficie cambiano qualcosa nel loro gioco. Spero che l'esperienza questa volta sia dalla mia parte, quando ho disputato la mia prima finale Slam agli US Open 2008 avevo ventuno anni e non ero riuscito a prepararmi perfettamente per l'evento. Ricordo solo che fu una partita che scivolò via velocemente".
"Per molti giocatori Wimbledon è il più importante torneo al mondo, ma per i britannici lo è ancora di più - ha continuato Murray - giocare davanti al pubblico di casa in una finale Slam è qualcosa di veramente raro. Pochi giocatori hanno un'opportunità del genere. Ecco perchè me sarà un po' più speciale. Con il passare degli anni questo torneo comincia ad avere sempe più significato per me, che apprezzo ancora di più la storia e la tradizione. Quando hai diciotto o diciannove anni non ti rendi conto di tutto il contesto. Arrivare in finale non è mai normale, nulla che io dia per scontato. Anzi, so bene quanto sia difficile raggiungere questi obiettivi e giocare questi grandi eventi". Sconsolato invece Tomas Berdych, che proprio a Wimbledon aveva raggiunto l'unica finale Slam della carriera nel lontano 2010: "Andy è uno dei migliori nel disinnescare le armi dell'avversario, ora sta giocando al top, riesce anche a cambiare ritmo alle partite con il suo tennis creativo. Ecco perchè penso che possa farcela a vincere il torneo. Oggi ho avuto le mie opportunità nel secondo set, ma non le ho sfruttate. Ho giocato corto sulle palle break, mentre lui non ha sbagliato niente, è stato molto solido per tutto il corso del match. Questa edizione di Wimbledon è stata positiva per me, mi ha indicato la strada per il resto della stagione, anche se adesso sono un po' frustrato per la sconfitta. Rio? E' un obiettivo, ma ci sono molti altri tornei prima delle Olimpiadi. Quel che è certo è che la settimana prossima non giocherò i quarti di finale di Coppa Davis con la mia Repubblica Ceca".