Prima che Andy Murray riuscisse a rompere l'incantesimo britannico che durava dai tempi di Fred Perry (anni Trenta del secolo scorso), il cuore degli appassionati di tennis inglesi ha a lungo battuto per Tim Henman, oxfordiano classe 1974, beniamino indiscusso del centrale di Wimbledon. Ragazzo dalla corporatura esile, Henman, nato a non a caso a Oxford, fu il primo tennista d'Oltremanica ad essere competitivo ai Championships dopo anni di totale anonimato. Il suo stile di gioco, fatto di serve and volley e di discese a rete sulla seconda, era perfetto per l'erba, superficie dove d'altronde era cresciuto, e si rivelò al grande pubblico in un ottavo di finale del 1998 contro l'australiano Pat Rafter, vinto proprio da Timbledon (soprannome affibiatogli proprio per la sua identificazione con il torneo londinese) con lo score di 6-3 6-7 6-3 6-2.
Da quel match in poi nulla sarebbe stato più uguale per Henman, caricato di una pressione gigantesca dai suoi connazionali, convinti di aver trovato il degno erede di Fred Perry, quantomeno per sfatare il tabù dei Championships. L'interesse per Tim crebbe a dismisura, i suoi incontri venivano programmati in modo che la BBC potesse trasmetterli in orari di punta, e per seguire quei match attesissimi il pubblico non dotato di biglietto per il campo centrale cominciò ad assieparsi presso una collinetta posta davanti al maxischermo che campeggiava intorno all'adiacente campo numero uno. Si creò così il mito della Henman Hill, una sorta di ritrovo annuale per spingere Timbledon verso il titolo, risultato che il ragazzo di Oxford non riuscì però mai a raggiungere, fermato per ben quattro volte in semifinale dal 1998 al 2002, mancando l'accesso tra i migliori quattro del torneo solo nel 2000. Nelle prime due occasioni fu Pete Sampras, all'epoca incontrastato signore dell'erba (e amico di Henman) a sbarrargli la strada verso il sogno, in due match sostanzialmente a senso unico, mentre l'occasione più ghiotta capitò nel 2001, quando l'inglesino si trovò a fronteggiare la furia del croato Goran Ivanisevic, poi trionfatore in finale proprio su Rafter. Fu quella una delle partite più esaltanti e allo stesso tempo angoscianti di Henman, durata ben tre giorni a causa delle continue interruzioni per pioggia e decisa al quinto set dalla potenza al servizio della wild card balcanica. L'anno successivo fu l'australiano Lleyton Hewitt, ribattitore eccezionale, ma non dotato del talento normalmente a disposizione di un numero al mondo, a spegnere i sogni di gloria di un popolo intero, che non avrebbe più rivisto in semifinale il suo esponente più rappresentativo.
Si è a lungo parlato della fragilità emotiva di Henman, della tensione con cui era costretto a giocare durante ogni edizione dei Championships, ma forse non si è mai sottolineato abbastanza come il buon Timbledon abbia avuto la sfortuna di nascere nell'epoca sbagliata. Avesse giocato una quindicina di anni prima, quando il servizio non era così determinante e i colpi di rimbalzo erano puramente residuali sull'erba, Henman avrebbe avuto qualche chance in più di vincere lo Slam di casa. Ultimo baluardo del tennis del serve and volley e del chip and charge, Tim ha a lungo incantato per la pulizia dei suoi colpi, in particolar modo per un rovescio a una mano sapientemente mixato in top e in back. Animale da rete come forse solo Rafter nel suo periodo, non aveva però a disposizione un servizio risolutivo, per motivi fisici e tecnici: innanzitutto non possedeva la stazza del bombardiere, in secondo luogo era cresciuto secondo gli insegnamenti degli antichi maestri dell'erba, per cui la battuta andava utilizzata in funzione della volèe che si voleva giocare, e non necessariamente alla ricerca del punto diretto. Il suo unico vero rimpianto rimarrà il biennio di interregno 2001-2002, quando Wimbledon aveva appena perso il suo padrone a stelle e strisce e non aveva ancora trovato il suo erede, un fuoriclasse svizzero da Basilea che si sarebbe impossessato delle chiavi del centrale dal 2003 in poi (quel Roger Federer peraltro battuto da Henman nei quarti di finale del 2001).
Eppure Tim Henman è stato molto più di Timbledon. Non ha raccolto grandi risultati soltanto ai Championships, ma è negli anni riuscito a costruirsi una carriera solida anche sul cemento e persino sulla terra battuta, giungendo in semifinale sia agli US Open che al Roland Garros. Semifinali che rappresentano ancora le colonne d'Ercole mai varcate da questo giocatore d'altri tempi, forse non un Cuor di Leone, ma comunque un delizioso inteprete dello stile inglese.