Due italiane in finale di una prova dello Slam. Anche solo immaginare un risultato del genere avrebbe richiesto la fantasia di uno sceneggiatore hollywodiano, uno di quelli che amano gli happy ending, per intenderci. Roberta Vinci da Taranto e Flavia Pennetta da Brindisi, cresciute insieme con una racchetta in mano, si giocheranno oggi la finale degli Us Open 2015, in un derby tutto azzurro in salsa newyorchese. 

Ma mentre la carriera della Pennetta ha seguito una linea di continuità, al netto degli infortuni e degli alti e bassi che contraddistinguono la carriera di una tennista professionista, Roberta Vinci ha obiettivamente colto un successo del tutto inatteso contro Serena Williams, titolare di 21 Major vinti e a un passo dal completare il Grand Slam, prima atleta femminile ad andarci vicino dai tempi di Steffi Graf. Nella vittoria della tarantina, neanche testa di serie in questi magici Us Open 2015, c'è molto del suo passato e del suo gioco antico, per certi versi vetusto, di certo fuori moda. E' stato il trionfo della tecnica abbinata alla tattica quello di Roberta, in un match che ha chiuso una giornata storica per il tennis italiano. Saranno in molti ora, tra tifosi e addetti ai lavori, ad evidenziare il crollo psicologico di Serena, paralizzata dalla tensione e da un obbligo di vincere che l'ha bloccata sul più bello, quando il difficile sembrava fatto e il meglio doveva ancora venire. Ma se nell'intero 2015 l'unica giocatrice capace di battere la più giovane delle sorelle Williams è stata Roberta Vinci, allora il clamoroso upset dell'Arthur Ashe non può essere stato solo frutto dei fantasmi e dei timori di Serena.

L'impresa dell'azzurra nasce da una condotta di gara sapiente e controllata. L'utilizzo esasperato del back di rovescio (anche se sarebbe più corretto parlare di slice, tanto la palla rimbalzava bassa) ha infastidito la sua avversaria più di quanto fosse lecito attendersi, al punto che l'americana ha cercato più volte il diritto della Vinci per poter colpire la palla almeno all'altezza delle anche. Ma per evitare i profondi e micidiali rovesci dell'italiana, la Williams ha lasciato così sguarnita buona parte della propria metà campo, condannandosi a correre una mezza maratona che non è nelle sue corde. Chiamata a rete con estrema intelligenza dalla Vinci, Serenona ha mostrato tutte le incertezze e i limiti tecnici derivanti dal dover fronteggiare passanti non potenti ma insidiosi, palle senza peso probabilmente mai provate prima. Il capolavoro della tarantina è stato proprio quello di trasformare la sua atipicità, spesso fonte di difficoltà per se stessa più che per le sue avversarie, in in rebus senza soluzione per la numero uno del mondo, completamente spaesata da ciò che proveniva dall'altra parte della rete.

Roberta Vinci ha completato poi l'opera nel finale di match facendo tesoro di tutta l'esperienza da grande doppista accumulata in un'intera carriera. Eccezionali due demi-voleè (l'ultima sul match point) che hanno costretto al silenzio il pubblico americano, incredulo di fronte allo spettacolo offerto sull'Arthur Ashe, ancora più spettacolare un attacco tagliato di rovescio al termine di uno scambio lunghissimo, che ha definitivamente demoralizzato la Williams. Per una volta il tennis versione vintage ha avuto la sua rivincita, sul palcoscenico più nobile, contro un'avversaria dalle caratteristiche tecniche opposte, e al momento giusto (semifinale Slam in diretta mondiale). Ecco perchè il glory day di Robertina Vinci ha il sapore di una favola, oltre che di un'impresa, perchè ha esaltato un gioco prezioso quanto un capolavoro del passato, a lungo sottovalutato prima del pomeriggio di ieri, dopo il quale si è finalmente autorizzati a dire, senza timore di incorrere nella solita e stucchevole retorica sportiva, che Davide ha battuto Golia.