Diciamo la verità: non è stata la partita che molti speravano. Le aspettative di un confronto serrato e spettacolare si sono infrante contro l’essenzialità granitica di Djokovic, capace di standard elevatissimi per l’intero arco del match. In verità, la marcia verso la finale aveva destato perplessità sul serbo, apparso appannato e altalenante rispetto allo schiacciasassi di inizio stagione. Djokovic ha rischiato grosso contro Kevin Anderson negli ottavi e non ha strabiliato negli altri turni, quando pure si è imposto in tre set senza grandi patemi. In finale però ha confermato la stoffa del campione, estraendo il meglio del suo repertorio e alzando l’asticella quando necessario, come più volte gli è successo in carriera.
Federer deve inchinarsi per il secondo anno consecutivo, stavolta in modo piuttosto netto. Lo svizzero non è riuscito a replicare la prestazione offerta contro Murray in semifinale e non è certo che sarebbe bastata contro un Djokovic simile. Il basilese è apparso un po’ scarico, incapace di imprimere al suo gioco l’intensità necessaria a scardinare le certezze del serbo, che lo ha inchiodato sulla riga di fondo limitandone le verticalizzazioni. Costretto a corse in orizzontale il più delle volte improduttive, Federer si è via via logorato consegnandosi all’avversario che incanalava il match nei binari a sé più congeniali.
Con una percentuale di prime in campo ferma al 67% ed appena il 49% di punti vinti con la seconda, lo svizzero si è fatto imbrigliare dal canovaccio tattico del rivale che si apriva il campo sul suo rovescio per poi incrociare col gancio, costringendolo a tirare il dritto in equilibrio precario quasi sempre all’altezza del corridoio.
Nei momenti di difficoltà, Djokovic ha blindato il risultato servendo in modo impeccabile: 13 ace e svariate prime vincenti ad annullare le poche chance concesse a Federer, unite ad una seconda servita profonda e al corpo per impedire allo svizzero di entrare in campo e prendere l’iniziativa. Il timing in risposta, suo marchio di fabbrica, è andato in crescendo e con esso il vantaggio del serbo, autore nel quarto e decisivo set di ben 2 break.
Federer avrebbe potuto vincere replicando la prestazione della semifinale? Non si può dire. Certo è che, rispetto a Murray, Djokovic è più capace di comandare il gioco e muovere l’avversario, ha una seconda più solida, una tenuta mentale d'acciaio, la risposta migliore del circuito. Lo svizzero avrebbe dovuto servire una percentuale di prime simile e prendersi rischi enormi nei colpi di inizio, capitalizzando il break a zero ottenuto al sesto gioco del primo set. Invece ha subito l’immediato contro-break, fallendo una comoda volée sopra la rete e balbettando nel tie-break concluso con un eloquente doppio fallo. Lo score finale sarebbe stato ancor più severo se non avesse salvato 5 set point nel tie-break del secondo parziale, artigliato a sorpresa per 12-10.
Neanche la puntuale pioggerellina inglese, giunta nel terzo set sul 3-2 per il serbo, ha inceppato gli ingranaggi di Djokovic. Federer aveva già deposto le armi al quarto game, sparacchiando una facile chiusura di dritto e spianando al defender break, set e finale. Nole non gli ha più concesso di rientrare nel parziale - tenendo l’ultimo servizio a zero - e in partita, mettendo alle corde lo svizzero fino al break nel quinto gioco del quarto set che, di fatto, ha posto fine alla contesa.
Una vittoria limpida per il serbo, che cancella la delusione del Roland Garros e ribadisce prepotentemente il suo status di numero uno al mondo. Federer è mancato in dirittura di arrivo contro un avversario monolitico, ma restano l’ottimo torneo giocato e una condizione fisica e mentale che gli consente di guardare con serenità al finale di stagione e, chissà, ai prossimi Championships.