Il day after la regale prestazione offerta da Roger Federer sul centrale di Wimbledon, la domanda che si pongono addetti ai lavori e appassionati di tennis è pressochè la medesima: riuscirà Novak Djokovic ad arrestare la corsa del fuoriclasse elvetico? Lo stesso Andy Murray, arresosi in semifinale di fronte al talento dell'avversasio, davanti a microfoni e taccuini nella consueta conferenza stampa post-partita non si è sbilanciato sul tema, limitandosi a dichiarare che "è estremamente difficile vincere grandi eventi come Wimbledon perchè ora come ora ci sono giocatori fenomenali nel circuito".
Il riferimento è - naturalmente - a Federer e Djokovic, primi due tennisti al mondo, capaci di alimentare una rivalità che non è nata immediatamente ma è maturata nel corso degli anni, quando a una crescita imperiosa del serbo ha fatto seguito l'incredibile continuità dello svizzero nello sciorinare i migliori colpi del suo repertorio. La finale di domenica è già attesissima, gustosa rivincita del match dello scorso anno, nonchè perfetta esemplificazione di un rilevante contrasto di stili di gioco. Nole non ha giocato un torneo esaltante. A un passo dal baratro negli ottavi contro il sudafricano Kevin Anderson, è riuscito a riemergere dallo svantaggio di due set a zero per poi riprendere spedito il suo cammino liquidando agevolmente Cilic e Gasquet. Evitata l'insidia Wawrinka, il numero uno al mondo è dunque per la quarta volta in carriera in finale ai Championships (2011, 2013, 2014 le apparizioni precedenti), a testimonianza di una continuità impressionante sotto il profilo tecnico e psicologico. Djokovic ha forse minor incisività al servizio rispetto a Murray (anche se capace di disputare partite in cui la sua percentuale di prime è altissima) ma è infinitamente più solido mentalmente e nei colpi di rimbalzo rispetto allo scozzese. Gran ribattitore, il serbo dovrà sfruttare tutta le sue qualità in risposta per evitare che Federer prenda il comando degli scambi, riducendo il numero di colpi giocati in ogni singolo quindici.
Nel palleggio da fondo campo Djokovic è senza dubbio favorito, nonostante Fedexpress si stia muovendo sull'erba di Wimbledon come negli anni in cui era praticamente imbattibile. Le chiavi tecniche del match sono dunque note: entrambi i giocatori si conoscono perfettamente, essendosi incontrati quasi quaranta volte. Inutile sottolineare l'importanza della prima di servizio, della risposta e del primo colpo dopo la battuta, tutti spunti tattici di rilievo ma che non aggiungono granchè a quanto già ci si attende. Il Federer dell'ultimo anno e mezzo è indubbiamente molto più aggressivo, anche in virtù della consulenza di Stefan Edberg, e propenso a prendere la via della rete appena ha la possibilità di attaccare. Ciò ha contribuito a una sorta di rinascita dello svizzero, dato prematuramente per finito nel 2013 (anche se era stato bollato allo stesso modo già nelle stagioni 2008, 2010 e 2011).
Il numero uno delle classifiche è Djokovic ma in questo momento, tra appassionati e intenditori di tennis, è opinione diffusa che se Roger gioca come sa è lui a decidere l'esito dei match. Ieri Murray ha provato a nascondere tutta la frustrazione per dover ancora competere con un tennista di quasi 34 anni che, piuttosto che farsi da parte, dispensa ancora lezioni di tennis a destra e a manca. Tre set a zero ieri contro lo scozzese, così come nella finale degli Australian Open 2010 e degli Us Open 2008, per non parlare dell'umiliazione subita al Masters dello scorso novembre (un solo game raccattato dal povero Andy).
Federer, el ladròn del tiempo, come definito efficacemente dal quotidiano spagnolo El Paìs qualche tempo fa, ha proseguito in maniera ostinata nella ricerca di un tennis miglior e, incredibile a dirsi, c'è riuscito. Più continuo al servizio e maggiormente lucido dal punto di vista tattico, il fuoriclasse da Basilea sta ormai mettendo tutti d'accordo sulla portata della sua leggendaria carriera. Ha forse ragione Mats Wilander, per i suoi tifosi non ha tutta questa rilevanza la vittoria di un altro o più Slam, mentre invece lui, Roger, vuole a tutti i costi il suo ottavo titolo a Wimbledon. Lo ha dimostrato con una ferrea concentrazione che, abbinata a un talento unico, sta impressionando davvero tutti, anche coloro che credevano di non dover fare più i conti con lui, fenomeno unico e inimitabile.