Sarà Djokovic-Federer l’epilogo di Wimbledon 2015. Le semifinali ci consegnano la finale più attesa, tra numero uno e numero due del seeding e della classifica Atp, nonché rivincita dell’edizione 2014, quando a spuntarla fu Djokovic al termine di una battaglia entusiasmante. Pronostici confermati, dunque, grazie a prestazioni autorevoli che hanno spazzato via le velleità degli sfidanti (soprattutto Murray, che contava di riprendersi il torneo di casa) e che rispecchiano le gerarchie consolidatesi negli ultimi 12 mesi.
Djokovic vince tre set a zero, arrotondando il bilancio negli head to head col transalpino che prima della semifinale lo vedevano dominare per 11-1. Precedenti peraltro sempre poco lottati: Gasquet era riuscito a imporsi al Master di Shangai (occasione in cui Nole perse tutti e tre gli incontri del Round Robin) nel lontano 2007 e a strappare un solo set (Master di Londra 2013) nelle restanti occasioni. Sull’erba non si erano mai incontrati ma, come si è visto, non è cambiato granché.
Il risultato finale non è mai sembrato in discussione. Djokovic è sempre stato avanti sin dal break operato nel corso del primo game, ed ha giocato al gatto col topo, libero dalle pressioni del punteggio. Troppo solido Nole al servizio - con 11 ace piazzati nei rari momenti di difficoltà - e nei colpi a rimbalzo, capace di giostrare a piacimento su entrambe le diagonali per togliere riferimenti a Gasquet e non metterne in palla il rovescio, il suo colpo migliore.
Gasquet ha fatto il Gasquet, confermando l’abisso in termini di personalità e saldezza mentale che lo separa dai top player. Il francese ha dimostrato ancora una volta di non avere armi sufficienti a minacciare il serbo, su tutte il servizio e la solidità nei colpi da fondo: appena il 51% di prime in campo di cui il 63% trasformate, contro il 76% (e il 78% di conversione) del serbo fotografano meglio di ogni altra statistica l’esito del match. Il 70% (21/30) di punti ottenuti a rete, poi, la dicono lunga sulla relativa scioltezza con cui Djokovic, certo non un volleatore provetto, potesse prendere l’iniziativa e chiudere comodamente il punto sopra il net.
Dunque non è stato un test sufficientemente indicativo a valutare il livello del defender. Fin qui Djokovic ha concesso le briciole, fatto salvo l’ottavo di finale contro Kevin Anderson, chiuso in volata al quinto dopo essersi ritrovato sotto due set a zero. In finale sarà un’altra storia perché la posta in palio garantisce una pressione a cui non è immune neanche il numero uno del mondo e bicampione sui prati di Wimbledon. E perché Federer ha dimostrato nella finale dello scorso anno di potersela giocare anche a livello slam, almeno su erba.
La seconda semifinale ha offerto uno spettacolo superiore e un incontro più equilibrato come da pronostico. Il punteggio finale di 3 set a zero è dipeso in larga misura dal rendimento al servizio imperiale offerto da Federer: 12 ace, 0 doppi falli e l’87% - l’87%! – di prime, trasformate nel 79% dei casi.
Una dimostrazione di forza senza pause che ha relegato il pur volitivo Murray al ruolo di sparring partner di lusso. Federer ha imposto da subito il suo tennis aggressivo, giocando sull’uno-due in battuta per non entrare nello scambio. Ha concesso una sola palla break nel primo game, dopodiché ha continuato a servire come un rullo compressore e a incalzare Murray in risposta.
L’andamento dei tre set è in fotocopia. Nel primo il punteggio segue i servizi fino al 6-5: qua Roger, si inventa un passante di rovescio e una risposta vincente di dritto che gli valgono break e primo parziale. Il 2° set prosegue sulla falsariga del primo: Federer in spinta appena possibile, Murray arroccato sulla riga di fondo ad allungare il palleggio e a tirar passanti. Il decimo gioco è il momento chiave dell’incontro, quello che potrebbe sovvertirne l’inerzia: Murray salva 5 set point, di cui 3 consecutivi, strappando un game interminabile. L’occasione mancata non destabilizza Federer che si prende comunque il set brekkando Murray al game successivo: monolitico al servizio e nella testa. Nel terzo set Murray si aggrappa alla battuta e all’orgoglio ma deve piegarsi alla classe del numero 2, autore di un passante di rovescio di puro polso da standing ovation.
Ci ha provato Murray a insinuare dubbi nella mente dello svizzero, restando in scia per l’intera durata del match, ma Federer è rimasto impassibile nei momenti chiave e non è mai stato tradito dal colpo d’inizio che gli ha consentito di affrontare in vantaggio, psicologico e di punteggio, i game in risposta.
Domenica lo svizzero dovrà ripetere quanto messo in mostra oggi. Le possibilità di allungare le mani sull’ottavo Wimbledon e diciottesimo slam di una carriera irripetibile passano infatti dalle percentuali al servizio di Federer, per impedire a Djokovic di prendere l’inerzia dello scambio e far muovere l’avversario, terreno in cui il serbo non ha rivali.