Il cuore oltre l'ostacolo, il cervello oltre i fantasmi che dalle porte del Paradiso ti spingono su un baratro vista inferno. Il tennis è sport del diavolo, un lungo, indeterminato patto con sè stessi e i propri demoni e spesso quando questi prendono il sopravvento, la strada verso gli inferi diventa una discesa dove nessun freno è efficace.
E poco ci mancava che nel buco nero finisse Garbine Muguruza: la spagnola nel primo set è splendida, devastando con il servizio Aga Radwanska e respingendola nei suoi tentativi di rimanere aggrappata al match quando a dare il là al gioco era la polacca. Nessuna magia per lei, nessuna trama di gioco che potesse in qualche modo irretire la spagnola che, scaldabagno dopo scaldabagno, piega le mani della Radwanska. Semplice e lineare, ma con un'idea di gioco che non si limitava al solo picchiare, Garbine è pressochè perfetta ne primo set, che chiude per 6-2 in meno di mezz'ora.
L'onda lunga della magia si prolunga anche per i primi quattro game del secondo set: Muguruza implacabile, Agnieszka che pian piano sembra rassegnarsi all'idea di dire addio ai sogni di gloria. Ma all'improvviso Garbine si trova a dover affrontare due avversarie allo stesso momento, perché oltre a Radwanska le si palesano davanti i tarli del dubbio. Con l'avvicinarsi del traguardo, la salita si fa sempre più arcigna, le gambe molli e le braccia improvvisamente non più in grado di sostenere il peso della racchetta di colpo divenuto insostenibile. Inviluppata nelle spire dei suoi stessi demoni, Garbine comincia una vorticosa discesa verso l'inferno, aiutata da una Aga Radwanska ringalluzzita da tanta grazia che implacabile colpisce e con un parziale di 5-0 risale da 1-3 fino a 6-3.
Si va così al terzo set, con l'inerzia psicologica tutta dalla parte della polacca: più navigata, lei che una finale a Wimbledon l'aveva già fatta nel 2012, e in fiducia, la Radwanska prova a imprimere la zampata decisiva già nel primo game, quando un'ancora spaesata Muguruza cede il servizio. Sembra il preludio alla fine, ma la spagnola ha grande cuore e, soprattutto, riesce a ricacciare indietro i cattivi pensieri: il controbreak immediato è una vigorosa boccata di ossigeno, il segnale che sebbene pericolante sul cornicione, Garbine è ancora viva e animata dal furore della battaglia. Radwanska recepisce e comincia a innervosirsi: la battaglia si fa dura, gli errori salgono, dominano i nervi.
E alle fine quelli più saldi risiedono nella testa della spagnola. La giocatrice che sembrava irrimediabilmente in crisi, è tornata a essere mattatrice del gioco, mentre la Radwanska torna a doversi confrontare con la Muguruza del primo set. Più forte anche di due falli di piedi proditoriamente chiamati in fasi delicatissime del match, più forte, soprattutto, del peso specifico di palline che possono proiettare una ventenne per la prima volta in finale a Wimbledon. E ci arriva, aiutata da un clamoroso errore di valutazione di Radwanska (forse spinta dalla panchina), che blocca il gioco per chiamare il challenge su una pallina che le pareva essere uscita e che in realtà si è rivelata in campo. É il punto che regala alla spagnola la palla del match: il servizio è incisivo e sulla risposta della polacca è fin troppo facile piazzare la ciliegina sulla torta.
Finisce 6-2 3-6 6-3 in quasi due ore. Grazie all'impresa di Garbine, la Spagna riabbraccia una finale di Wimbledon 19 anni dopo la firma di Arantxa Sanchez. Fra lei e il Mary Rosewater Dish rimane soltanto una fra Serena Williams e Maria Sharapova. Soltanto si fa per dire, ma il fatto che la stessa Williams si sia pubblicamente spesa in elogi verso la ventenne di padre basco e mamma venezuelana vale molto vale già di per sè come un'incoronazione. Vada come vada sabato, il tennis femminile ha trovato una nuova stella.