Milos Raonic e Novak Djokovic calcano il cemento di Flushing Meadows con sguardo attento, preoccupato. Simulano sorrisi e tranquillità, ma covano dentro voglia di riscatto. Il serbo, n.1 al mondo, ha fallito l'assalto a Cincinnati, unico 1000 non ancora in bacheca, e ha palesato limiti preoccupanti nella fase d'avvicinamento all'ultimo Slam dell'anno. Il periodo post nozze è stato costellato da imprevedibili battute d'arresto. Come Nole, anche Milos. Raonic sta disputando una grandissima stagione ed è da tutti indicato come possibile nuovo profeta del tennis. A cozzare con questa previsione le risposte del campo. Quando Raonic si trova al cospetto di un fab four, difficilmente riesce a far prevalere il suo tennis tutto servizio e potenza. Per due volte, a Wimbledon e qui in America, ha subito la lezione di maestro Roger.
L'approdo all'Us Open è lieve. Quel che ci vuole, per conquistare fiducia e autostima. In un'edizione che, data la condizione dei protagonisti, si annuncia tra le più equilibrate di sempre, con Nadal costretto al forfait dai dolori al polso, l'occasione è ghiotta per tanti. Djokovic supera senza problemi l'argentino classe '92 Diego Schwartzman. 6-1 6-2 6-4 per il leader della classifica Atp. Alla prima vera ribalta il nativo di Buenos Aires mostra buon coraggio, ma non ancora la giusta compattezza tecnica.
Discorso analogo per Raonic. Il suo avversario, il giapponese Taro Daniel, è addirittura di un anno più giovane. Il canadese controlla i primi due parziali, ricorrendo poi al tie-break nel terzo. Prolungamento dominato per sette punti a uno. Per Djokovic, al secondo turno, il transalpino Mathieu, il tedesco Gojowczyk sulla strada di Milos.
Attesa intanto palpabile per l'esordio di Roger Federer, dopo il trionfo contro Ferrer in quel di Cincinnati. Nelle paure dei grandi di oggi che si possa ancora insinuare il più grande di sempre?