Non basta alla Serbia un Novak Djokovic in versione deluxe; non basta la bolgia infernale della Beograd Arena, dove anche i tifosi ospiti ci mettono del loro in un continuo ronzare di vuvuzelas e chiasso assortito fatto con ogni mezzo disponibile, buoni ultimi dei patriottici coperchi di pentole decorati con la bandiera nazionale e adattati a improvvisate percussioni. Troppo piccole e fragili le spalle del giovane Dusan Lajovic, sostituto dell'ultima ora dell'infortunato Tipsarevic, per reggere alla pressione di una match decisivo con una posta in palio così elevata: e infatti la partita si trasforma in un'autentica mattanza, con Radek Stepanek che dispone a piacimento del suo tramortito avversario, quasi scherzanodolo a ogni punto e aggredendolo a ogni proprio turno di servizio con il serve and volley. Un'agonia durata quasi due ore, consumata sotto gli occhi di uno sfiduciato Djokovic che pian piano vedeva inesorabilmente vanificato il proprio lavoro, mentre le bandiere serbe venivano riposte e la gente sfollava, lasciando la scena tutta all'indiavolato spicchio di tifoseria ospite. 

Eppure il pomeriggio era iniziato all'insegna di una nuova speranza per il popolo serbo: Djokovic infatti aveva battuto in tre set un Thomas Berdych sprecone ma al tempo stesso molto combattivo. Tanto che nel primo set il break di Nole arriva solo al decimo game, mentre il secondo parziale si risolve al tie-break. E' di questo secondo set il rammarico maggiore per il ceco, che sul 4 pari ha l'occasione ghiotta per brekkare l'avversario e andare al servizio per il set: ma Berdych si gioca male le proprie carte, rischiando addirittura di subirlo lui il break nel game successivo. Si deciderà poi tutto al tie break, vinto da Djokovic per 7-5, mentre l'Arena diventa una succursale di un girone infernale dantesco. Il terzo set è condizionato negativamente per Berdych dalla botta psicologica di quello precedente: pronti via e cede il servizio a Djokovic, che soffre solo nel quarto game, con il servizio tenuto ai vantaggi. Da lì in poi è un monologo del Numero due al Mondo, che fa il suo compito e passa il testimone al giovane Lajovic. Come andrà finire è stato già detto: esulta Stepanek, perfetto per tutto l'arco della (non) partita, mentre il giovane serbo vaga con lo sguardo catatonico, quasi choccato, per l'epilogo di una giornata che, ahilui, non dimenticherà facilmente. 
Del resto, lui poteva ben poco: dopo il doppio di ieri, la Coppa aveva già preso il volo in direzione Praga, gettare sul povero Dusan la croce della sconfitta sarebbe un’ulteriore crudeltà.