Niente di nuovo sul fronte femminile: il solito ciclone Serena Williams si abbatte sul circuito WTA e spazza via tutte quelle che, sull'amato cemento di Flushing Meadows, avevano cercato di portarle via il pentagramma su cui griffare la sua quinta sinfonia americana, la tredicesima a livello Slam, a un solo titolo dal duo Navratilova e Evert. Ci è andata vicina Victoria Azarenka: l'avevamo lasciata distesa sull'erba del Centre Court di Wimbledon, sofferente dopo una caduta che aveva fatto temere il peggio per la bielorussa. Ennesima sventura di una stagione per lei travagliata, eppure capace, la bionda trecciolona di Minsk, di castigare per ben due volte la regina del tennis in gonnella. E capace di renderle la vita complicata nella finale di sabato, rimessa in piedi quando tutto ormai sembrava perso. Onore a lei e al suo cuore, le sue lacrime con la testa nascosta dall'asciugamano erano il contraltare amaro della gioia quasi infantile di Serena: lei che, racchetta in mano, è sfuggita dalle insidie delle strade di Compton, sobborgo alle porte di Los Angeles dove la violenza e la legge della strada regnano sovrane. Sua sorella Yetunde lì ci è morta, stroncata da un colpo di pistola destinato a qualcun altro. L'altra sorella, Venus, ha diviso con lei gioie, dolori e tante battaglie fratricide sui court di tutto il mondo. Chapeau anche lei: la sua partita contro la cinese Zheng, malgrado la sconfitta, è stata meravigliosa, palpitante. Da vera fuoriclasse ha rubato la scena pur se la vittoria è andata l'avversaria, perchè se i campioni vincono le medaglie, i fenomeni si prendono la scena. Sempre e comunque.

Azzurro Pennetta - Ma è stato anche lo US Open dell'Italia. L'anno scorso fu Sara Errani a spingersi sino in semifinale, prima di cadere vittima del gigante Golia, leggi Serena Williams, lei piccola Davidessa dalle spalle piccole e forti. Forti, ma rivelatesi deboli di fronte all'insostenibile pesantezza dell'essere la numero 5 al mondo. La netta sconfitta contro Flavia Pennetta al secondo turno è stata la punta dell'iceberg di una crisi che da tempo covava nell'animo della piccola e ruspante romagnola: "Sento troppa pressione, entro in campo e non ci vorrei stare" ha dichiarato in lacrime in conferenza stampa dopo al sconfitta con la Flavia nazionale. Si è campioni anche così, avendo il coraggio e gli attributi per andare in conferenza stampa e ammettere candidamente che il ruolo e le aspettative che gravano su di lei a ogni torneo stanno cominciando a crearle troppa pressione. Una cosa non da poco, vista la tendenza di non pochi personaggi a trincerarsi sempre dietro frasi e scuse di circostanza.
La vera mattatrice del torneo però è stata Flavia Penetta, Flavia Phoenix. Lasciatasi alle spalle un'annata balorda, ricacciati nell'angolo più recondito della mente i pensieri di appendere racchetta e palline al chiodo, Flavia ha via via infilato le avversarie fino ad arrivare alla semifinale. Dove ha lottato duramente per un set con Vika Azarenka, prima di soccombere alla maggior freschezza atletica dell'avversaria.
Sotto i colpi della Pennetta sono cadute entrambe le Chcihi's, che in doppio si sono scontrate con le sorelle Williams, mentre fuori dal campo con voci, poi rivelatesi infondate, di un litigio che avrebbe mandato in fumo anni di amicizia fraterna e un'intesa pressochè perfetta sul campo. "Tutte cazzate!" aveva chiosato senza mezzi giri di parole la tarantina Vinci, che si è fatta strada a colpi di derby dapprima domando il servizio esplosivo di Karin Knapp e poi il talento luminoso ma ancora acerbo di Camila Giorgi.
Ecco, Camila: ottavi di finale lo scorso anno a Wimbledon, la riconferma quest'anno sull'erba inglese e l'exploit sul cemento americano. Sempre partendo dalle qualificazioni. Da un paio d'anni si parla un gran bene di questa marchigiane di sangue argentino, che a Flushing Meadows si è tolta la gioia di mandare a casa Caroline Wozniacki, pur sempre una ex Numero Uno al mondo sebbene ormai lontana parente di quella giocatrice capace di issarsi in vetta al ranking. Contro la Vinci ha fatto e disfatto tutto lei, andando sul 4-1 nel primo set prima di spegnere la luce e cedere alla più esperta avversaria. Ma se imparerà a dare più continuità al suo talento, Camila farà strada. Nel frattempo se la gode Barazzutti, che può aggiungere un'altra freccia al suo arco, in attesa di recuperare psicologicamente Sara Errani.
Da ultimo Francesca Schiavone: sfortunata la milanese, che pesca subito Serena Williams al primo turno. Peggio di così non poteva andare per la Leonessa, che viene presa a cazzottoni per tutto il match, ma che lotta con commovente ferocia per strappare almeno il game della bandiera, alla fine ottenendo lo scopo.

Protagoniste in chiaroscuro - Al gran ballo dello Us Open non c'era Maria Sharapova. Che comunque trova il modo di far parlare di sè: la trovata di voler cambiare cognome in Sugarpova - come il brand di dolciumi da lei lanciato -, poi smentita un giorno e molti pacchetti di caramelle venduti dopo, così come il siluramento del tecnico Connors dopo una sola partita (quella dell'eliminazione al torneo di Cincinnati), hanno acceso i riflettori sulla bella siberiana. Che da ultimo è diventata Forfaitpova, visto che la spalla in fiamme le ha consigliato di saltare l'appuntamento con lo Slam americano.
Assente anche Marion Bartoli: la francese, dopo aver realizzato il suo sogno di bambina vincendo Wimbledon, ha salutato la compagnia e gli Us Open se li è visti dalla cabina di commento di Eurosport. "Ci sono cose più importanti che non giocare a tennis" disse al momento del ritiro Marion. Dai campi al microfono, ecco la Marion 2.0.
Fra chi ha preso parte al torneo invece, ottima la prova di Ana Ivanovic: tirata e in gran forma, la serba ha dato filo da torcere alla Azarenka, strappandole un set (quello d'avvio) e costringendola agli straordinari per la rimonta vincente. Si perde sul più bello Na Li: avrebbe potuto essere l'unica ad impensierire Serena sulla strada della finale, invece al momento clou si scioglie come neve al sole e viene piallata dalla Williams con un 6-0, 6-3 che non ammette repliche. Prima della cinese si erano perse le tedesche Lisicki - una che la Williams l'ha stesa sul ring prestigioso di Wimbledon - e Kerber, così come Agnieszka Radwanska. La polacca numero 4 al mondo è stata sconfitta ai quarti di finale da una Makarova ammazza big. Da grande campionessa quale è non ha voluto cercare scuse, nemmeno aggrapparsi al viaggio USA- Polonia e ritorno in pochi giorni, fatto per dare l'ultimo saluto al nonno scomparso mentre lei era a Cincinnati.
Da ultimo una citazione la meritano due personaggi che al tennis fanno davvero bene: da una parte Andrea Petkovic e dall'altra Bethanie Mattek - Sands. Personaggi più fuori che dentro il campo: l'una, la tedesca di origine jugoslava, sta lottando per tornare fra le prime cinquanta del mondo dopo la balorda stagione dell'anno scorso, passata più in infermeria che non sui campi da tennis. Vulcanica e anticonformista, la tennista che come primo appuntamento preferisce il rumore di un concerto rock all'atmosfera soffusa di una cena a lume di candela e che se potesse fonderebbe un proprio partito per andare incontro alle esigenze delle persone di età compresa fra i 25 e i 40 anni, ha concluso al primo turno la sua avventura americana, al cospetto della quasi connazionale Jovanovski. Un pat pat di incoraggiamento a Petkorazzi, il tennis femminile così dominato dalle bellezze da passerella provenienti dall'est ha bisogno di un personaggio come lei.
L'altra, Bethanie Mattek Sands, si fa strada sui campi da tennis a colpi di acconciature e otufits bizzarri: la sua ultima trovata, presentarsi agli Us Open con i capelli totalmente tinti di viola. Non che l'idea le abbia portato particolare fortuna, fuori al secondo turno contro la Makarova (ancora lei!), ma di certo non è passata inosservata. Del resto, quando mai è passta inosservata? A suo modo, una fuoriclasse..