22 giugno 2010: sul campo 18 dell'All England Lawn Tennis and Crocquet Club, alle ore 18.18 (curioso a volte il destino) sta per iniziare una partita che pare una delle tante di quella tonnare di tennisti che è il primo turno di un torneo slam. Su quel campo, decentato e lontano dai fasti e dalle luci del mitico Centre Court, si sfidano l'americano John Isner, ragazzone con corporatura rubata al basket, e il francese Nicolas Mahut, uno dei tantissimi folgoranti talenti che si mettono in luce nei tornei giovanili per poi perdersi fra mille difficoltà una volta fatto il grande salto. Nicolas non aveva nemmeno i numeri per poter accedere di diritto al tabellone principale, ma ha dovuto uscire dal girone dantesco delle qualificazioni. Ma ora era lì, pronto a giocarsi l'accesso al secondo turno del più prestigioso torneo di tennis al mondo, per il molti il Torneo. Avanzare di un turno siginifica fare passi avanti nel ranking e prendersi qualche soldino. Quello che per tutti era un match come tanti altri, sarebbe diventato un evento da consegnare direttamente alla Leggenda e alla memoria imperitura dello sport della racchetta.
Il match - Si inizia e la partita non sembra regalare sussulti particolari: vince il primo set l'americano che chiude 6-4 in circa mezz'ora, lo stesso tempo impiegato poi da Mahut nella frazione successiva per portarsi a casa il set con il punteggio di 6-3. E' l'equilibrio il vero padrone di casa sul campo 18, perchè i successivi set si concludono al tie break, con una vittoria per giocatore. Nel frattempo i tempi si sono dilatati, fino a che non si rende necessaria la sospensione per sopraggiunta oscurità: la resa dei conti è rimandata al giorno successivo, in pieno pomeriggio. Per il quinto e decisivo set le regole di Wimbledon (come del resto Parigi e Melbourne) sono chiare: niente tie break, per vincere nel caso non si terminasse ai canonici sei game, è necessario vincerne due in più dell'avversario. Facile a dirsi, meno a mettersi in pratica. Soprattutto per i due giocatori, che iniziano una logorante battaglia, game su game, con il punteggio che assume sempre più connotati incredibili: 10-10, 20-20, 30-30 e così via, in una progressione che pare infinita. Nessuno riesce a brekkare l'avversario, e man mano che la stanchezza si impossessa dei due uomini in campoi, questi vanno avanti per inerzia: quando arriva la pallina nella propria metà parte di campo, se questa è giocabile la si gioca, altrimenti la si guarda schizzare via e avanti con il prossimo servizio. Intanto, la notizia di quanto sta accadendo su quel campo che pare dimenticato da Dio si sparge per tutto l'All England, e lentamente moltissimi spettatori si assiepano per partecipare a quello che ormai è diventato un rito di catarsi collettiva: nessuno fra quelli che erano già lì vuole andare via, perchè ormai ci si è resi conto di essere testimoni di un evento storico, da raccontare ai nipotini a cui diranno "Io c'ero!".
Perchè su quel campo ci sono due perfetti sconosciuti in campo che se le stanno dando di santa ragione per strappare la qualificazione al secondo turno, due carneadi che hanno trovato la loro via per arrivare a quel quarto d'ora di fama di Wharoliana concezione, e anche far parte della cerchia dei testimoni oculari è un buon viatico verso il proprio angolo di celebrità, perlomeno fra amici e parenti. Passano le ore e i games ma la situazione non si sblocca: il giudice di sedia, l'indonesiano Lahyani, in un atto di estrema dedizione al suo lavoro non si schioda dalla postazione per sette interminabili ore, mentre si alternano ben cinque team di raccattapalle. Non c'è fame, non c'è sete che possa distrarre la gente da questo drammatico match, qualcosa che nemmeno il più geniale sceneggiatore hollywoodiano sarebbe in grado di pensare; nemmeno il tabellone segnapunti è pronto all'evenienza, perchè sul 47 pari va in tilt e si spegne.
Ma sul 47 pari la partita era ben lungi dall'essere finita, e si spingerà fino al 59-59 quando i due giocatori, o perlomeno ciò che ne restava dato che parevano gli zombie di molti b-movies horror anni settanta, vennero chiamati a rete e posta loro la fatidica domanda se sussistessero ancora le condizioni di luce ideali per giocare. Fosse stato per loro, la cui lucidità era già venuta meno da un bel pezzo, si sarebbe continuato, probabilmente fino a notte fonda o finchè uno dei due non fosse crollato esanime su quell'erbetta verde che pareva così invitante per una pennichella sotto le stelle. Soprattutto quando la calchi da ore che paiono anni, rimblazando da una parte all'altra del campo a inseguire una pallina che pare una scheggia impazzita, e la stanchezza non ti fa ragionare.
Vennero convinti ad abbandonare la contesa e a rimandare tutto alla giornata successiva, sempre che fossero sopravvisuti. Mc Enroe, a Wimbledon in veste di commentatore per la tv americana, avanzò la proposta agli organizzatori di concedere ai due sconosciuti gladiatori l'onore di continuare il combattimento sul campo centrale, senza incontrare però successo. Si tornò ancora su quel campo 18, dove si ripartiva dal 59 pari. Giocarono ancora per un'oretta buona, finchè Isner non trovò il punto decisivo, sfruttando il quinto match point dell'incontro. Il suo cammino non durerà poi molto: il giorno dopo giocò il secondo turno ma venne subito eliminato. Più beffardo il destino per Mahut, a cui spetò subito il doppio su un altro campo. Battuto subito, senza pietà. Il tennis è così: uno sport crudele, anacronistico, spietato, che non ha pietà per un cavaliere esausto dopo una battaglia infinita. Prendere o lasciare.
Statistiche - In totale il match è durato 11h 5', il solo terzo set oltre otto ore. Sono stati giocati 183 game e realizzati 215 aces (113 Isner, 102 Mahut). Una targa, sul campo 18, ricorda questo evento straordinario, una partita che sarà destinata per forza a rimanere nel grande libro della Storia del tennis. E il fatto che si sia giocata nel Tempio della racchetta la ammanta ancora di più di leggenda. I due poi si trovarono di fronte ancora l'anno successivo, ancora a Wiblemdon, ancora al primo turno. Fu però una partita normale, ma in fondo fu giusto così: la Storia era già stata scritta l'anno prima.