In un torneo a Milano sbocciò il fiore più luminoso del prato tennistico. Lì giovanissimo, con il codino e il viso sorridente, nacque il mito di Roger Federer, capace in un torneo minore di ammaliare il pubblico e il russo Kafelnikov. Sorse lì per irradiare poi il Campo Centrale di Wimbledon, con la spavalderia del nuovo che avanza. Spazzò via le trentuno vittorie di Sampras, ne fermò corsa e regno. Pete “donò” le chiavi di Wimbledon a Roger, ma lo svizzero non conquistò subito l'erba londinese. Dovrá aspettare altri due anni.
L'inizio del regno
Il primo titolo non fu di certo il più complesso. Schalken, Roddick, Philippoussis. Questi i tre rivali sulla strada di Roger dai quarti in poi. Lo statunitense Roddick, dritto e servizio, volontà e abnegazione, poco altro. Poi l'australiano Mark, che David Foster Wallace definisce così “spartano, grosso, lento, gioca di potenza da fondocampo, con una cattiveria gelida negli occhi”. Nessuno di loro riuscì a strappare un set a Federer, nessuno di loro aveva la varietà e l'intelligenza per impensierire il giovane di Basilea. Buoni giocatori, non campioni. I problemi però si affacciarono quell'anno, per manifestarsi poco dopo. Sul circuito si presentò il paffutello Nadal, passò due turni e attirò l'attenzione di molti. Maiorchino dal colpo mancino e dal coraggio indomito. Ne risentiremo parlare. Quell'anno Federer giocò a un livello pazzesco. Laver, Budge, Becker, riassumeva le qualità dei più grandi. Pareva il tennista perfetto, creato dalla fusione dei suoi predecessori.
Il 2004 fu la totale consacrazione. Vinse tre slam, sfuggì Parigi, la terra che meno amava, e si issò in vetta alle classifiche mondiali. Una corsa ininterrotta di 237 settimane. Non faticò nemmeno quell'anno, concesse un set a Hewitt nei quarti, si divertì con Grosjean e in finale ritrovò una delle sue vittime preferite, Andy Roddick. Non vittima sacrificale però. Il Roddick di quel giorno fu uno dei migliori della carriera. Attaccò Federer, vinse il primo parziale al tie break, arrivò al tie break nel terzo, colpito dal regale rovescio di Roger. Non si riprese più, ma impressionò lo stesso svizzero, che mai avrebbe pensato di soffrire quel tipo di avversario.
Tripletta servita l'anno seguente. Un'ora e quarantuno minuti per battere, per l'ennesima volta Roddick. Faticando molto meno della stagione precedente. Senza avversari. Risultato scontato. Si assisteva sugli spalti all'elegante esibizione di Federer, senza pensare al punteggio, ben sapendo che non ci sarebbe stata partita, che doveva ancora giungere la nemesi di Roger. “Uno strumento di pacifica guerra, una sorta di coltellino svizzero tuttofare, irto di lame e uncini, che servono in qualsiasi circostanza, con egual efficacia”.
Il 2006 fu ancora di Roger, e segnò l'inizio dell'eterna rivalità, già in auge altrove, sull'erba di Wimbledon, con Rafa Nadal. Nemesi, come riportato sopra, antitesi, scegliete voi. Di fronte a Nadal, Federer smetteva di essere Federer. Il divino pittore imbrattava la tela. Incapace di reagire alla “garra” e alla crescita del maiorchino. Capace di adattarsi a una superficie lontana da lui nei primi turni, per diventare pericoloso già alla prima finale. Prima dell'ultimo atto si era visto un Roger superbo. La perfezione. Bjorkman, demolito in semifinale, disse che non si poteva giocare meglio di così. Aveva ragione. Il primo set con Nadal, fu il naturale proseguimento di quel percorso. 6-0, in un valzer di colpi, cambi, improvvisazioni senza eguali. Qualsiasi avversario sarebbe crollato. Non Rafa. Rafa era grande perché combatteva ogni punto come fosse l'ultimo, e non smetteva di combattere fino all'ultimo punto. Piano piano calò Federer e salì Nadal. Di testa. Non fu, come non lo è oggi, un problemo tennistico, perché lo smisurato repertorio dello svizzero, prevedeva e prevede qualsiasi contromisura, quanto piuttosto mentale. Nadal era entrato sottopelle a Federer, che di colpo si bloccava di fronte al re della terra. Quell'anno vinse comunque, grazie alle piccole debolezze di Nadal, ancora in fase di apprendistato su un'erba, che era ormai erba battuta. Quel giorno, come ammise dopo, ebbe paura. Da lì in poi, contro il fenomeno iberico, la paura sarebbe stata una costante.
La finale del 2007 divenne famosa come una delle battaglie più dure. I due pugili, sempre loro, sul ring, a darsele come mai si era visto. Nadal, ormai a suo agio anche sul veloce prato, si avvicinò ulteriormente a Federer. Lo costrinse al quinto set, lo costrinse ad aggrapparsi all'ultima stilla di talento per uscire ancora vincitore, per la quinta volta. “Te la saresti meritata anche tu” Con queste parole Federer salutò Nadal, dopo aver eguagliato il grande Borg. Sì, perchè fu crudele decretare un vincitore quel giorno. Soffrì, perché non colpì Nadal nelle sue carenze. Il taglio a cambiar ritmo di rovescio, avrebbe tolto riferimenti e certezze a Rafa, ben più di quei colpi piatti che ne esaltavano invece la forza. Strappò due tie break lo svizzero, restò vivo grazie al servizio, risalendo più volte dal baratro, prima di vincere 6-2 al quinto. L'urlo finale testimoniò più di ogni altra cosa la fatica di quel giorno.
La sconfitta annunciata
Era nell'aria, dopo le ultime due finali. Si materializzò nel 2008, al termine di una finale splendida. Rafa Nadal sconfisse Roger Federer. Riuscì dove aveva fallito il re di Wimbledon. Lo sconfisse a casa sua. Cinque set, come nell'ultima versione vista, ma dall'andamento differente. Il doppio 6-4 dello spagnolo, poi due tie break dell'uomo di Basilea. Fino al 9-7 finale. Nadal annientò tatticamente Federer, ben oltre il punteggio conclusivo. Partta tormentata dalla pioggia, partita a due facce. Il volto titubante di Federer in avvio, quello deciso dopo la lunga sosta. Il miracolo del quarto set, con due match point annullati da campionissimo. Poi un'altra pausa sul 2-2 dell'ultimo parziale. Si proseguì fino al 7-7, poi la risoluzione dell'enigma. Nadal aveva trovato la chiave per entrare nel giardino di Federer.
L'affascinante duello si interruppe nel 2009. Causa problemi fisici, Nadal rinunciò ai Championships, dopo aver perso il Roland Garros, battuto dallo svedese Soderling. Strada spianata per Federer. Vittoria agevole contro Karlovic, croato dalla devastante potenza, poi la semifinale tutta talento con Haas, archiviata in tre facili set, fino alla sfida con Roddick. Ennesima riedizione di un duello sempre favorevole allo svizzero. Fu una via crucis incredibile. Roddick vinse il primo parziale, sprecò quattro set point nel secondo, contro un Roger stranamente sottotono. Perse il tie break del terzo, ma allungò il match al quinto. Qui un'epopea senza fine. 16-14 Federer. “Sorry Pete, non ce l'ho fatta a salvare il tuo record di 14 slam.”.
2012 - Il settimo sigillo
Diciassettesimo slam, settimo Wimbledon. Brividi. Rafa Nadal cadde vittima dello sconosciuto Rosol, n.100 del mondo e lasciò il proscenio agli altri protagonisti. La semifinale di lusso Federer-Djokovic vide lo svizzero dominare, nonostante la strenua resistenza del serbo. Partita d'attacco, giocata con testa e cuore. Una versione extra lusso. Djokovic non era Nadal. Non intimidiva Roger. In finale l'idolo di casa, Andy Murray. Gli inglesi riversavano su di lui le attese per un trionfo mai centrato dall'onesto Henman. Per tensione, per differenza di classe, perché la storia aveva deciso altrimenti, forse per tutti questi motivi, vinse Roger Federer in quattro set. Raggiunse Sampras. Fu applaudito. I grandi non hanno bandiera.
Ora il via della nuova edizione. Non sembra più il Federer vecchia maniera, nemmeno quello dello scorso anno. La terra rossa ne ha evidenziato età, acciacchi e stimoli svaniti. L'erba di Halle sembra avergli restituito linfa tennistica. Il sorteggio non ha sorriso a Roger. Quarto di finale possibile col “nemico” Rafa. Cammino impervio. L'ultima recita, alla ricerca dell'ottava meraviglia. Difficile, ma quando nella sua regale signorilità, entrerà nel Centre Court, racchetta alla mano, siamo sicuri proverà un'emozione antica. Ci proverà perché quello è il suo campo, quella la sua casa.