Qualche sporadico fischio dalle tribune del Foro, sparute manifestazioni di disappunto, in mezzo a un oceano di applausi, poi le critiche del giorno dopo. Titolini e titoloni. Contro Roger Federer. Critica aspra e pungente. Dominato, spazzato via, imbarazzante. Chi più ne ha, più ne metta. Non è stato un bel Federer, quello intravisto nella finale di Roma. Semplicemente non è stato Federer. La pausa di due mesi ne ha offuscato condizione e certezze. Madrid e Nishikori, come campanello d'allarme. Poi gli Internazionali e la finale con Nadal. Un tabellone amico lo ha portato all'ultimo atto, poi la resa allo spagnolo. Resa totale. Quattro game. Spiccioli.

Ma le critiche? I borbottii? Ecco quelli paiono inspiegabili. Signori, quello è Federer. Icona senza tempo. Simbolo. Arte tennistica. L'eleganza con la racchetta in mano. I numeri contano poco, o meglio non dicono tutto. Nemmeno i suoi che sono irreali. Record di Slam, marea di titoli. Eppure Roger è altro. È il colpo che pensi impossibile. L'idea che ti pare irrealizzabile. Signore in campo e oltre il campo. Dieci anni e più di storia, impregnata di aurea leggenda. Da quando giovanissimo, con quella coda ciondolante, annichilì Sampras. Da allora ad oggi, quando a un tratto carta d'identità, acciacchi e cali mentali, si presentano a consegnare il conto. Nadal è stato, anche in periodi fausti, la nemesi di Federer, capace di scovarne i limiti, grazie all'infinita forza di volontà. Nemesi più caratteriale, che tecnica. Il guerriero Rafa contro l'agnello Roger. Lo ha battuto spesso sulla terra, meno da altre parti, dove il confronto è stato in maggior equilibrio. Lo ha battuto, riconoscendone la grandezza. “Roger è il più forte di tutti”. Lo ha sempre detto Nadal, anche dopo il dominio romano.

Perché lui sa, come i puristi del tennis sanno, che non ha eguali il repertorio del maestro di Basilea. Sono aumentate con gli anni le pause, sono calate le partite giocate, è diventato sempre più arduo emergere nei tornei a lunga gittata. Sarà difficile vedere ancora Federer trionfare in tornei del Grande Slam, strutturati nell'arco di due settimane, con partite al meglio dei cinque set. Ma questo conta poco. Un amante del tennis, un giocatore di tennis, un addetto ai lavori, non guarda Federer tifando per la sua vittoria, guarda Federer aspettando l'attimo. Perché sa che nell'arco di una partita arriverà il momento in cui resterà a bocca aperta. Arriverà l'onda perfetta, l'attimo fuggente. Il genio accenderà la lampada. Ecco quell'attimo, quel momento sarà ciò che renderà quella partita degna di essere vista. Arricchirà un repertorio di rogeriani ricordi tendente all'infinito.

Ecco allora che difficilmente si spiegano le critiche a Roger Federer. Occorrerebbe semplicemente mettersi sugli spalti o davanti al televisore, in religioso silenzio, ed assistere alle ultime recite del campionissimo, assorbendo ogni regalo, analizzando ogni gesto, studiando ogni movimento, e ringraziarlo. Thank you, Roger.