Si sono spenti i riflettori sul week-end di Formula 1 di Suzuka, e con loro forse anche le ambizioni mondiali della Ferrari e di Sebastian Vettel, costretto al secondo ritiro stagionale dopo il botto di Singapore. La nuvoletta fantozziana sembra non voler abbandonare Maranello e dintorni, scaricando l'ennesima raffica di pioggia nel soleggiato pomeriggio nipponico.

E' bastato mezzo giro per capire che sulla vettura di Vettel qualcosa non andava: una partenza non brillante, Hamilton che subito scappa via quando di solito il tedesco riusciva sempre a tenerlo sotto tiro, con Verstappen che alla curva 11 lo supera senza particolari problemi. Il tedesco ci prova, tenta di reagire e di rimanere negli specchietti dell'olandese, sa già dal giro di ricognizione che qualcosa non funziona a dovere, ma bluffa, finge, non molla. Poi al primo passaggio sul traguardo le maschere si sbriciolano e i nodi vengono al pettine: passa Ocon, passa Ricciardo e passa anche Bottas. Il messaggio via radio è inesorabile: No power. E' finita, anche stavolta. A Sepang era stato il collettore del turbo a tradire i piloti, questa volta una candela. Perfettamente funzionante fino a 24 ore prima, incredibilmente in disuso il giorno dopo senza che la macchina sia stata più toccata.

Il ritiro di Vettel in Giappone | twitter - formula1
Il ritiro di Vettel in Giappone | twitter - formula1

Al di là della sfortuna e di una serie di circostanze di cui hanno beneficiato gli avversari diretti, è necessaria una profonda analisi per capire perché per la seconda volta consecutiva qualcosa non ha funzionato all'interno della rossa. Sarebbe un errore cercare a Singapore o in Malesia le cause di questa serie di disastri, perché la questione inizia da prima, precisamente dalla pausa estiva. Il GP d'Ungheria aveva regalato una splendida doppietta alla rossa, che aveva concluso la prima parte di stagione in vantaggio, ma si sapeva che la Mercedes aveva comunque qualcosa in più che spesso non veniva fuori a causa del telaio, vero punto debole delle frecce d'argento. Davanti c'erano poi due piste molto favorevoli alla scuderia tedesca, ed ecco che allora a Maranello hanno cercato di spingere all'inverosimile nello sviluppo, programmando l'uso del quarto motore il più tardi possibile per poterselo giocare al meglio e con delle prestazioni ancora migliori.

Sebastian Vettel | formula1.com
Sebastian Vettel | formula1.com

In sintesi: la rossa ha estremizzato tantissimo le prestazioni della Power Unit numero 4, in modo da poter avere un vantaggio in un finale di stagione che si prevedeva tiratissimo e combattuto fino all'ultimo punto. Nel frattempo la terza unità svolgeva il suo dovere, limitando i danni a Spa e a Monza. Poi l'harakiri di Singapore, con conseguenti punti buttati su una delle piste più favorevoli alla rossa. Quando si arriva in Malesia i tempi sono ormai maturi per giocarsi l'ultima carta, che effettivamente consente a Kimi Raikkonen di prendersi la prima fila con una delle sue migliori prestazioni del Sabato, ma che tradisce già Vettel in qualifica. In gara invece è il finlandese a pagarne le conseguenze, non riuscendo nemmeno a partire, mentre tutto il bagaglio prestazionale del motore viene fuori dalla grandissima prestazione del tedesco, che rimonta dall'ultimo posto fino alla quarta piazza, sfiorando il podio nella battaglia con Ricciardo. In Giappone il copione si ripete: grandissima qualifica di Seb, che si trova a partire affiancato ad Hamilton, poi però in gara qualcosa non funziona e tutto finisce con il secondo 0 stagionale alla casella "punti".

Il pilota tedesco sconsolato dopo il ritiro | twitter - formula1
Il pilota tedesco sconsolato dopo il ritiro | twitter - formula1

Probabile quindi che la vettura, e in particolare i componenti accessori non evoluti allo stesso modo del motore, non abbia retto a questo incremento di potenza. L'equilibrio tra prestazioni e affidabilità è sempre qualcosa di delicatissimo, basta un niente per piegare la livella da uno dei due lati e rovinare il lavoro di una stagione. A tutto questo si aggiunge l'abbandono di Lorenzo Sassi, passato al GT nel mezzo del campionato, e ciò può aver avuto delle conseguenze anche sullo sviluppo successivo della vettura, ma qui si entra nel particolare e spesso abusato campo delle ipotesi. Ciò che resta sono due settimane di tempo per rimettere a posto la situazione (e la vettura, soprattutto) per poi giocarsi ad Austin le ultime, misere, possibilità di portarsi a casa il mondiale.

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About the author
Francesco Palma
22 anni, laureato in Linguaggi dei media presso l'Università Cattolica di Milano. Aspirante giornalista, appassionato e di musica, calcio, ciclismo, futsal e di sport in generale. Esperto di musica italiana, autore musicale e paroliere.