Come abbiamo avuto modo di scrivere più volte, quello di quest’anno è il campionato di Formula 1 più equilibrato e avvincente degli ultimi 10 anni. Se è indubbio che il tornare ad essere protagonista della Ferrari ha mosso come sempre un elevato numero di appassionati del mondo delle quattro ruote, nel 2017 i fattori che hanno reso e renderanno questa stagione entusiasmante, non sono semplicemente da ricercare nel ritorno al vertice della Rossa di Maranello.

Se infatti il duello tecnologico ingaggiato tra la Ferrari e la Mercedes ha rimesso al centro la capacità umana dei tecnici e dei manager, che troppo spesso non vengono “considerati” nell’economia sportiva della massima competizione automobilistica, protagonisti a Maranello per aver chiuso un gap enorme in poco tempo (di cui vi abbiamo parlato qui) con il team campione in carica, mentre a Brackley sono stati autori di un fantastico recupero nel corso della prima porzione di campionato, imponendo dal Canada in poi un rendimento mancato sino a quel momento.

Ad onor del vero però, l’elemento caratterizzante di questo campionato risiede, ancora una volta, nelle capacità umane di quei due piloti in lotta per il campionato del mondo. Ebbene sì, in un mondo in cui troppe persone, anche senza titolo, sottolineano come la Formula 1 sia diventata solo una questione di tecnologia (fattore comunque estremamente importante), il 2017 è un anno in cui Sebastian Vettel e Lewis Hamilton stanno dimostrando come fare la differenza. E non ci si riferisce solo al cospetto dei rispettivi compagni di squadra che, di fatto, da qualche gara sono diventati i gregari dei due piloti principali, ma anche al semplice duello in pista, ruota contro ruota, ma anche semplicemente a quella guerra psicologica misurata al cronometro.

Ne è stata l’esempio la gara di domenica sul magnifico circuito di Spa – Francorchamps, sul quale di duelli storici ce ne sono stati eccome. Una gara che non ha visto “molta attività” davanti se non i due tentativi di soprasso da parte del tedesco della Ferrari in fondo al rettilineo del Kemmel, subito dopo lo spegnimento dei semafori e a seguito della ripartenza dalla Safety Car. Eppure in queste due manovre c’è un elevato impegno umano da parte del pilota che segue e che precede, che hanno reso imprevedibile quello che molti credono “normale”, come quello di prendere la scia su un rettilineo lunghissimo e compiere il sorpasso.

Ne sono la dimostrazione le dichiarazioni di Vettel e Hamilton al termine della gara, i quali hanno fatto intendere come ci sia stato “dell’altro” rispetto alla semplice capacità meccanica del mezzo. L’inglese ha infatti dichiarato quanto segue: “Quando siamo arrivati in curva 1 subito dopo la partenza, ho avuto un piccolo bloccaggio a causa delle gomme fredde. Sentivo la Ferrari vicinissima, così mentre stavamo percorrendo la discesa verso Eau Rouge sono rimasto al 90 % dell’acceleratore, senza spingere al cento per cento. La mia intenzione era quella di far avvicinare Seb al massimo, in modo da costringerlo ad uscire dalla mia scia appena fuori dalla Eau Rouge. E così è andata, perché all’inizio del rettilineo del Kemmel si è dovuto spostare perché non aveva più spazio, ed una volta uscito dalla scia non è riuscito a prendere la velocità per passarmi di slancio”.

A riprova di questo, Vettel ha dichiarato quanto segue: “Se potessi tornare indietro, imposterei la manovra in modo differente”.

Alla faccia di chi dice che il pilota conta poco o nulla, verrebbe da pensare a chi vi sta scrivendo.

Ma aldilà di tutto, quella di domenica è stata solo l’ultima tappa di quel dualismo che nel 2017 è stato incarnato da Sebastian Vettel e Lewis Hamilton, come accaduto nel passato tra Jim Clark e Graham Hill, tra Niki Lauda e James Hunt, tra Ayrton Senna e Alain Prost e tra Michael Schumacher e Mika Hakkinen.

Come tutti i duelli, nell’epoca della rivoluzione mass mediatica che stiamo vivendo, i piloti vengono conosciuti sia come tali che come personaggi. Si è più volte parlato della vita da Rockstar di Hamilton rispetto a quella più “tranquilla” di Vettel, ma quello che li rende comuni sono quei due-tre decimi di finestra massima di confronto, come accaduto proprio domenica, in una gara che i due hanno fatto insieme, dalla prima all’ultima curva, con gli ultimi 10 giri in cui il ritmo gara sembrava quello da qualifica, con nessuno dei due che “è riuscito” a commettere una sbavatura che avrebbe potuto cambiare l’esito della corsa e perché no dell’intero mondiale.

Comunque vada a finire, grazie.