Per raccontare Elio De Angelis non può bastare la semplice lettura dei numeri. Infatti 108 Gran Premi, 2 vittorie e 3 pole position non giustificano la stima e la nostalgia che il pilota romano provoca negli appassionati di Formula 1.

Nato nel 1958, a 17 anni è già campione del mondo di kart, partecipa prima alla Formula 3 e poi alla Formula 2 per arrivare nella massima serie nel 1979, in cui esordisce con la scuderia Shadow al Gran Premio di Argentina, in cui chiude con una lodevole settima posizione. L’anno successivo passa alla Lotus, in cui vi starà per ben 6 anni, periodo in cui raccoglie i suoi migliori risultati sia in qualifica che in gara, pur con qualche problema di affidabilità mostrato dalle vetture di Colin Chapman. Quella più caratteristica è sicuramente la sua prima vittoria, conseguita al GP di Austria nel 1982 al fotofinish, con Keke Rosberg che giungerà secondo a 50 millesimi di ritardo.

Il 1986 è una stagione particolare per De Angelis che lo vede giungere alla Brabham dopo un lungo periodo in Lotus. Quell’anno però si comprende come il pilota romano passi da essere un pilota veloce ad outsider, a causa di una vettura molto estrema che presenta nelle prime gare del campionato diversi problemi di progettazione. Il pilota italiano infatti in quattro gare conquista un ottavo posto nella gara di apertura in Brasile e poi 3 ritiri consecutivi per mancanza di affidabilità del mezzo.

Ma quello è anche l’anno della scomparsa. E’ mercoledì 14 maggio 1986, circuito del Paul Ricard, giorno di test per molti, tra cui anche Alan Jones sulla Lola e Philippe Streiff su Tyrrel. Sono le 11.30 quando De Angelis, in entrata alla variante della Verriere, subisce il distacco dell’alettone posteriore e a circa 270 km/h perde il controllo della vettura, andando a finire sulle barriere. Nell’impatto, la Brabham BT55 numero 8 viene catapultata in aria circa duecento metri più in là, oltre le pareti protettive che delimitano il tracciato. Il pilota rimane inglobato dalle fiamme che divampano subito dopo, in una zona del circuito in cui non ci sono commissari di pista né personale medico pronto all’intervento. A dimostrazione di ciò, i primi ad intervenire sulla vettura del pilota italiano sono suoi colleghi, fermati subito sul luogo dell’incidente. Prost, Jones, Lafitte e Rosberg si recano con i mano gli estintori in dotazione sulle singole monoposto e li svuotano verso le fiamme provenienti dalla Brabham di De Angelis, con Prost che non esita a buttarsi nelle fiamme, nel tentativo di salvare il collega italiano. Dopo l'estinzione del rogo, il pilota italiano viene estratto dalla vettura, i medici lo danno per spacciato ma con un massaggio cardiaco riescono a rianimarlo e metterlo sull’elicottero che poi lo porta in ospedale. Ma il giorno dopo, al CHU di Marsiglia, alle 17.15 Elio De Angelis ci lascia definitivamente.

Un lutto che colpì molti, anche il progettista di quella macchina considerata troppo estrema. L’ingegnere sudafricano Gordon Murray, ancora oggi, si imputa tutta la responsabilità della morte di De Angelis e ancora non riesce a capacitarsi se il distaccamento dell’ala della BT55 da lui progettata fosse dovuto ad un reale disegno oltre il limite della sua “creatura”.

Ma cosa rimane di Elio De Angelis? Come molto spesso capita a chi “non vince troppo”, all’italiano è associato il ricordo di un uomo buono, semplice, tanto che il fratello Roberto è convinto che se Elio fosse stato più cinico e calcolatore probabilmente avrebbe vinto di più e che quel dannato test non spettava a lui compierlo, ma bensì a Riccardo Patrese. Il tutto contraddistinto da un’epoca in cui la sicurezza in Formula 1 era ancora qualcosa su cui non c’era il focus degli organizzatori e degli attori principali. Destino beffardo, appunto.