Godot ce l'ha fatta. La Ducati vince, anzi, stravince il GP d’Austria archiviando il primo successo stagionale con una sontuosa doppietta. Era nell’aria, senonché gli assoluti favori del pronostico ed il lungo digiuno di vittorie (l’ultima a Phillip Island 2010 targata Stoner, ben 100 i gp di astinenza da allora) potessero far tremare i polsi agli Andrea in rosso. Le vertigini, invece, non li hanno traditi, ed è filato tutto liscio. Forse troppo.
Sia chiaro, Ducati non poteva permettersi altri harakiri in stile Rio Hondo, non oggi. “Nessuna follia (usando un eufemismo) in volata!”, pare di vederli, Tardozzi e Dall’Igna, catechizzare i piloti alla “buona condotta” prima del via; Dovizioso lo ha poi confermato nel dopo gara. Ma dal forlivese, onestamente, era lecito attendersi di più.
Dei due, era Iannone ad aver esaurito i bonus pazienza, pure con un piede in Suzuki e la spalla acciaccata; il Dovi, viceversa, si affacciava alla sfida integro e, in credito verso il suo alter ego, era nella posizione di osare. Giacché secondo, oggi, equivaleva a battuto.
Ma il treno è sfilato e neanche stavolta Andrea Il Saggio ha saputo venir meno a se stesso, al suo pragmatismo, al suo innato senso della misura. Una guida “col bilancino”, quadrata e senza eccessi, che paga senz’altro in regolarità, ma che allo stesso tempo rinsalda la tesi di chi vede in lui un gregario di lusso privo del guizzo vincente.
Era la sua prova del nove, l'ennesima, e l'ha fallita, nei modi più che negli esiti: non ha vinto né, soprattutto, convinto, barattando il tentativo per la possibile gloria con l'ennesimo piazzamento. Un palliativo.
Andrea Il Maniaco, viceversa, non ha esitato. Fedele al soprannome e alla sua “garra”, non ha fatto prigionieri, involandosi verso la prima assoluta in MotoGP con tanto di pole position e saluti al compagno di squadra. Sulla pista di casa Red Bull, il tifo dell’amica Belen gli ha proprio messo le ali.