Il terzo iride deve aver inciso non poco sull’auto-percezione di Lewis Hamilton. Da Austin in poi - carta canta - quasi ogni intervista è divenuta occasione buona per incensare se stesso passando per la delegittimazione dei propri rivali, presenti e passati. Specie se di passaporto tedesco.
Se sminuire le performance del compagno di box Rosberg è divenuta un’abitudine, ancorché rafforzata dalle sconfitte degli ultimi tempi, la stoccata a Schumacher (“Io non ho mai fatto quello che ha fatto Michael per vincere, ho conquistato i miei successi solo con le mie capacità”) è risonata come la stecca di una stagione sopra le righe, dentro e fuori la pista; un’insinuazione gratuita e inopportuna, nei modi e nei tempi, perché rivolta a un uomo inabile a replicare.
Stavolta è toccato a Sebastian Vettel essere oggetto del suo discredito. Non una novità, se è vero che il 30enne di Stevenage non ha mai nascosto di vedere in Alonso l’unico, vero rivale alla propria altezza; e, come Alonso, snobbando le vittorie del tedesco, imputate neanche troppo velatamente allo strapotere tecnico della Red Bull nel quadriennio 2010-2013.
“Ho un grande rispetto per Vettel, - ha dichiarato Hamilton, intervistato da Sport Bild - ma trovo che sia difficile stabilire quale sia il suo reale valore quando il confronto diretto nelle scuderie top per cui ha guidato lo ha visto contrapposto a Mark Webber, un pilota chiaramente non al suo livello, e a Kimi Raikkonen, un driver che da tempo non è più quello di un tempo”.
Parole condivisibili, certo, ma solo nella forma: è evidente che Webber non avesse la consistenza, soprattutto mentale, per contendergli status e titoli in Red Bull, e che Raikkonen non abbia più lo spunto velocistico, e di conseguenza la centralità in Ferrari, di un tempo. Tuttavia, è altrettanto palese come Sebastian abbia rivelato un talento precoce e purissimo sin dagli esordi nel 2007, svettando nei tempi del venerdì in qualità di terzo pilota Bmw Sauber; consacrandosi nel diluvio di Monza 2008 alla guida della modesta Toro Rosso; mettendo a frutto, infine, nel migliore dei modi la supremazia tecnica della Red Bull per quattro anni consecutivi. Prove inoppugnabili di grande sostanza.
“Vettel non ha mai avuto come compagno di box piloti del calibro di Fernando Alonso, io sì, e l’ho anche battuto” ha rincarato Hamilton, indicando nel confronto col team-mate la sola cartina di tornasole utile a stimare il valore di un pilota. Colpi bassi che l’inglese partorisce tra esaltazione e strategia, alla stregua dei pugili che tanto ricorda nell’approccio. Per fare show alzando i toni dello scontro, per innervosire il rivale e caricarsi prima di incrociare i guantoni. Una cosa è certa: parole simili non mancheranno di pungolare a dovere Vettel in vista della prossima stagione.
Immancabile, infine, la replica a Jenson Button, ex-compagno di box in Mclaren che, sulla falsariga delle dichiarazioni contro Rosberg e Schumacher, lo aveva tacciato di arroganza. “Io la chiamo estrema fede in me stesso, un qualcosa di diverso dall’autostima secondo me. Mi ricordo ancora Ron Dennis che prima della prima gara nel 2007 mi ha detto di non restarci troppo male se Alonso mi avesse battuto pesantemente. Ma io sapevo che non sarebbe andata così”.
Semplicemente Lewis Hamilton.