Il ruggito di Lewis Hamilton nelle FP3 è già storia della F1 e vale tutti i sonanti dollari che i pochi, fradici spettatori americani hanno sborsato per scorgere le monoposto nella nube d’acqua che inghiotte Austin da venerdì.

Istantanee di tempi andati, quando la categoria era ancora un’arena per cavalieri del rischio disposti a misurarsi su piste semi-impraticabili (e meno sicure di oggi) senza troppe remore; anni in cui le sacrosante istanze di sicurezza patteggiavano ancora con l’essenza di una sfida che, in fondo, riconosce nell'azzardo la sua forma ancestrale di sublimazione. 

Hamilton è il seme tardivo della Formula 1 ‘old style’, una mosca bianca, anzi nera, per quell’aura da superstar che ha saputo ritagliarsi a colpi di vittorie e stravaganze, dentro e fuori la pista; per quel modo intenso e genuino di onorare il proprio status come i grandi del passato – Senna, Mansell e Piquet su tutti - così lontano dal perfezionismo asettico dei grandi del presente.

Di certo un talento unico, cristallino, capace di svettare in condizioni critiche come quelle odierne: una pioggia battente che vira al nubifragio, con visibilità ridotta al lumicino e la pista che si fa torrente. Finire in aquaplaning è un attimo: chiedere ai vari Rosberg, Maldonado, Grosjean, Raikkonen... l’elenco è lungo.

Con le qualifiche a rischio per l’aggravarsi del meteo, la griglia di partenza potrebbe essere decisa dai tempi delle FP3. A 20 minuti dalla fine, Hamilton è in sesta posizione: non il massimo in vista della gara, abbastanza per evitare rischi inutili, tanto più che il vantaggio in campionato consente sonni tranquilli. L’ideale, invece, nell’ottica dell’inglese, per ribadire la propria superiorità di pilota oltre l’evidente superiorità della monoposto che guida.

Nella bufera texana, il tabellone lampeggia il crono di 1’59”517: 8 decimi rifilati a Vettel, quasi 2 secondi al compagno di squadra Rosberg. Un giro da antologia che non è sfuggito agli addetti ai lavori, realizzato in condizioni di pista ben peggiori di quelle trovate dallo stesso Vettel nel suo miglior passaggio a inizio turno.

Una prodezza degna di Ayrton Senna, che lo ha visto planare su una pista inondata d’acqua e ormai al limite della praticabilità, anticipando in sovrasterzo le perdite di aderenza a centro curva specie nel primo, impegnativo settore, una lunga sequenza di esse 'da ritmo' che ha mandato in aquaplaning chiunque tranne lui. Vettel, non uno qualunque, ha tentato di replicare immediatamente ma si è girato per ben tre volte nel corso dello stesso giro, finendo per desistere.

Hamilton e il resto del mondo: forse non solo una questione di meccanica.