La città eterna è biancoceleste, almeno fino al ritorno. Dopo quasi quattro anni, la Lazio torna a vincere un derby, dopo sette stracittadine a digiuno, dopo quell’abbuffata che fu la finale di Coppa Italia del 26 maggio 2013. Lo fa in un Olimpico semi-deserto, in un clima a tratti surreale, ma che non fa mai mancare il supporto, da ambo le parti. Diversamente da quanto accade in campo, dove la superiorità degli uomini di Inzaghi è netta, quasi inaspettata.

Preparazione minuziosa della sfida, capacità di lettura e di mantenere tutti sulla corda, concentrati in campo e fuori. La vittoria, in gran parte, porta la firma del tecnico. Ed è forse una sorta di consacrazione per lui, catapultato per due volte alla guida della Lazio da seconda scelta. Un trattamento sul quale non ha mai rimuginato, ha solo colto l’occasione e lavorato, silenziosamente, giorno dopo giorno.

La vittoria con la Roma di ieri sera è la ciliegina sulla torta di un mese da sogno, per i biancocelesti: dal 31 gennaio – giorno della vittoria a San Siro contro l’Inter nei quarti di finale – al 1 marzo, il bilancio racconta di cinque vittorie ed un pareggio, con la Coppa Italia agli estremi e la Serie A all’interno della scatola. Vittorie magari non sempre brillanti, come quella interna con l’Udinese, ma comunque vittorie. E fino a prova contraria, sono i risultati e la continuità di questi a comporre il giudizio su un allenatore. Nel derby, i biancocelesti riescono ad essere anche belli, oltre che buoni.

Il 3-5-2 che vara Inzaghi gli lascia a disposizione un’arma letale in panchina, quale è Keita Baldé. Privilegia un uomo in più dietro, per lasciare meno spazi da attaccare. Sceglie l’uno-contro-uno sugli esterni, si fida di Basta e Lukaku, mantenendo tre uomini a centrocampo e lasciando i due avanti piuttosto liberi di muoversi, di combinare, di ripartire. Scelte azzeccate, perché Salah non trova quasi mai campo, mentre Dzeko rimane vittima della gabbia allestitagli intorno.

L’uomo in più dei biancocelesti è però un Milinkovic-Savic bidimensionale, che raccorda con le sue incursioni mediana e avanti, ma altrettanto in grado di contenere fisicamente gli avversari, coronando anche la sontuosa prestazione con un gol prezioso, con la complicità di una difesa non perfetta. Sente l’odore del sangue e colpisce, il Serbo; lo stesso fa Immobile nella ripresa, per chiudere la partita e lanciare i suoi verso la Finalissima. La Roma rischia, si scopre, la Lazio colpisce. Rompendo un tabù. E soprattutto, sognando la Coppa.