Il Cavaliere Oscuro, Batman vs Joker
Attribuire i ruoli, e soprattutto definirli, in un contesto simile non è affatto facile. Più opportuno e interessante risulta focalizzarsi sul concetto:
"L'eroe e il suo nemico tendono a completarsi, dando vita ad una simbiosi involontaria ma essenziale per entrambi."
Inter-Roma, di domenica sera, rappresenta la nuova dimensione di una rivalità secolare, che ha avuto il suo apice nello scontro tra Ranieri e Mourinho, ai tempi del Triplete. E' una sfida tra due modi diversi di intendere lo stesso gioco: l'uno, quello giallorosso, aggrappato a dei valori che trascendono dal risultato, ma che al tempo stesso obbligano i protagonisti a non arrendersi mai; l'altro, quello nerazzurro, condannato dal peso della vittoria, da una tradizione lunga e vincente capace di creare aspettative e pressioni spesso insostenibili. Una rivalità di questo calibro non è inquadrabile nella semplice distinzione eroe-cattivo, ma sembra quasi fondere le due realtà, dando vita ad una dimensione diversa, dove nessuno può fare a meno del proprio "alter-ego".
In realtà, a partire dall'addio di Mourinho, questa sfida ha perso parecchio del suo fascino, a causa dei molti agenti concomitanti che ne hanno ridotto la portata mediatica e competitiva. La corazzata-Juve e la crescita spaventosa del Napoli sono sicuramente da catalogare come variabili imprevedibili, che hanno contribuito a spezzare l'egemonia romano-meneghina che aveva caratterizzato i campionati precedenti. La mancata programmazione della società nerazzurra, assieme ad una serie di scelte clamorosamente fallaci, hanno fatto il resto, gettando l'ambiente nerazzurro in uno stato di profonda vessazione post-mourinhana. Per la Roma il discorso è un po' diverso. Il carattere della società, anche essa cambiata e maturata, e le pressioni dell'ambiente hanno dato i frutti sperati almeno in parte. Già, perché perfino i giallorossi si sono resi protagonisti di errori a dir poco marchiani, oscillando (come direbbe Schopenauer) dal baratro della sconfitta alla piacevole attesa della vittoria. Vittoria che tuttavia stenta ad arrivare, anche a causa di quei famosi agenti concomitanti sopracitati.
Pertanto, occorre analizzare questa nuova frontiera di Inter- Roma, che non vale più lo Scudetto e la gloria eterna, ma l'accesso alla prossima Champions League e la consapevolezza di essere davvero grandi. Mancano Ibra e Crespo da un lato, Mancini e Vucinic dall'altro. Ci sono Perisic, Icardi, Dzeko e Nainggolan. Non male come alternative, ma il contesto in cui questi campioni vanno ad inserirsi è totalmente diverso da quello di dieci anni fa. L'Inter si sta riavvicinando a ciò che sogna di essere, la Roma probabilmente è già grande, ma ancora non se ne rende conto. Ci sta provando Spalletti, ci sta incredibilmente riuscendo Pioli, dopo essere arrivato nei panni di un semplice traghettatore. La sfida è anche, e forse soprattutto, fuori dal campo, dove si scontrano due allenatori diversi per idee di gioco, ma inevitabilmente simili per certi aspetti. Le scelte ponderate, l'esaltazione della normalità e del sacrificio, l'abnegazione suprema alla causa e alla maglia. Tutti valori profondamente "italiani" e "italianizzanti", che conferiscono tutto un altro sapore a questa super-sfida.
Ridurre Inter-Roma ad una semplice partita di calcio è fuorviante, poiché in ballo c'è molto altro e soprattutto c'è una voglia di rivalsa, da ambo le parti, che fa davvero impressione. Perché, in fin dei conti, non si è mai troppo distanti da ciò che vorremmo essere, il trucco sta nel prendere totale consapevolezza dei propri mezzi. Tuttavia, questo "supremo stato finale di onnipotenza" non può essere raggiunto senza ciò che chiamiamo "altra faccia", senza il nostro nemico. Perché sarà proprio il nostro peggior nemico, alla fine dei giochi, a far risplendere ancor di più la luce della nostra gloria.