L'allenatore è sempre il primo a venire gratificato quando c'è da alzare trofei e ricevere onorificenze. Ma, come giusto che sia, è anche il primo a pagare le spese dei momenti negativi. Questo ragionamento mostra in modo chiaro la cinicità di uno sport come il calcio, capace di rompere sogni e illusioni in un batter di ciglia. Lo dimostra ogni giorno il caro Zamparini, con i suoi celebri cambi in panchina, ma anche all'Inter nell'ultimo periodo hanno fatto sul serio. Prima Mancini, accolto come un cavallo di battaglia dopo il funesto addio di Mazzari, e rivelatosi invece un cavallo di Troia, poi De Boer, che ha perso le redini dello spogliatoio, ed infine Stefano Pioli.

Il tecnico parmigiano ha resistito con merito al "tritacarne" nerazzurro, portando la sua esperienza e la sua saggezza a quel gruppo di giovanotti di belle speranze. Ebbene, ad un mese e mezzo dal suo arrivo, Pioli ha riacceso la fiammella, ridando vigore ad un ambiente appassito dai recenti risultati. Bisognava lavorare e Pioli lo sapeva, ma sapeva anche che sarebbe bastata una semplice scintilla per far emergere il talento indiscusso della sua rosa. Tanti piccoli accorgimenti, non solo tattici, che hanno permesso all'Inter di cambiare marcia e volto, diventando molto più cinica e concreta. Un esempio su tutti: Marcelo Brozovic. Il croato non si specchia più nel suo talento effimero, ma ha imparato a mettersi al servizio della squadra, coprendo e attaccando come uno stantuffo.

A livello tattico la difesa a 3 pareva dare più certezze ad una squadra profondamente insicura. Notevoli miglioramenti ci sono stati, ma in quella zona di campo servirà tempo e grande abnegazione da parte di tutti gli interpreti. Quella di Pioli è un'Inter più camaleontica, capace di adattarsi all'avversario, ma che non snatura i propri tratti fondamentali: pressione alta e verticalizzazione immediata. Con Mancini l'Inter aveva acquisito concretezza, ma la solidità difensiva si è rivelata passeggera e con De Boer le amnesie hanno raggiunto livelli esponenziali. La cura Pioli pare funzionare, eccezion fatta per la partita di Napoli dove la squadra non è proprio scesa in campo. Il match con la Lazio era il banco di prova forse più difficile per la banda nerazzurra, ma è stato affrontato alla grande soprattutto nel secondo tempo. Il risveglio di Brozovic, la conferma di Icardi, la rivitalizzazione di Banega, queste e molte altre le note positive della nuova Inter 3.0.

Dopo i fallimenti con De Boer e Mancini, la proprietà ha ammesso i propri errori, scegliendo un tecnico italiano per terminare degnamente la stagione. In realtà, questa nuova creatura (svezzata al meglio dal tecnico ex Lazio) sta iniziando a raccogliere conferme e chissà che a fine campionato il traguardo non possa rivelarsi interessante. Dalla disposizione tattica ai metodi di allenamento, i cambiamenti di Pioli a 360 gradi sono testimoniati da Danilo D'Ambrosio, altro giocatore tirato a lucido dalla nuova gestione, che in un paio di interviste ha sottolineato il cambiamento nell'organizzazione della settimana lavorativa da un tecnico all'altro. Più intensità, cura dei dettagli e dialogo con i giocatori. Sono questi i dettami dell'allenatore nerazzurro e i frutti del suo lavoro iniziano ad intravedersi: Icardi capocannoniere, difesa sempre meno battuta e media punti praticamente doppia (con meno partite) rispetto alla gestione precedente.

Magari tutte queste rondini non faranno primavera, ma la sensazione è che l'Inter abbia fatto una scelta azzeccata puntando su un personaggio del suo calibro. Pioli ha restituito la "fame" ai suoi giocatori che finalmente hanno preso coscienza delle loro potenzialità. Uno su tutti: il francese Geoffrey Kondogbia. Il numero 7 era praticamente finito nel dimenticatoio e appariva irrecuperabile. Stefano Pioli l'ha ributtato nella mischia e lui ha risposto con una prestazione di livello assoluto. Magari neanche questa rondine farà primavera, ma il letargo nerazzurro pare davvero essere giunto al termine.