Frank De Boer e l'Inter, un matrimonio di scarso successo. Una manciata di partite, per conoscersi e salutarsi. L'esigenza del risultato a cozzare contro l'idea di progetto. Uno scorcio di campionato, l'impresa con la Juventus e tanti ruzzoloni, fino alla decisione definitiva. Esonero e rottura del rapporto. Al giornale olandese Ziggo Sport, il tecnico racconta l'esperienza italiana e le lacune del club nerazzurro. La nuova proprietà non ha - realmente - in mano la squadra. Manca un punto fermo, un costante riferimento in grado di dare direttive e indicazioni. L'indecisione societaria si riflette poi sul campo e in ogni componente.
"I cinesi sono i proprietari, ma hanno però un supervisore che è italiano. Hanno tutto il potere, ma nessuno ha veramente il potere. Nessuno comanda. Penso che questo sia il problema principale. La nuova proprietà pretende molto, ma si dovrebbe prima guardare e valutare a ciò che c’è dentro la società e come è organizzata".
L'incostanza di rendimento come amara realtà. La volontà di proporre qualcosa di diverso, gradevole, il desiderio di "ripulire" e trasformare l'Inter. Alterni responsi, figli di scarsa fiducia.
"Giocavo con il 4-3-3: pressione alta e anticipo, se possibile. A volte è andata bene come nella gara contro la Juve. Ma è vero, abbiamo avuto troppi alti e bassi".
In chiusura, De Boer si ricollega al Napoli e sottolinea la costruzione del progetto partenopeo. Pazienza ed attesa per rifinire il gruppo, per trovare una coesione d'insieme. Una crescita graduale, per arrivare, ora, alla chiusura del cerchio. Anni di lavoro per assorbire dettami e principi, per assimilare un processo. Realtà ben diversa da quella milanese. "Tutto e subito", questo il dogma all'ombra della Madonnina. Difficile per chiunque, anche per De Boer.
"Guardate a Napoli dove ci sono voluti otto anni perché rendesse il progetto... All’Inter invece si aspettavano di vedere qualcosa di buono dopo due settimane. Una cosa impossibile".