Pomeriggio nefasto in quel di Oslo per l'Inter di Roberto Mancini che, reduce dal poker subito dai tedeschi del Bayern Monaco, cercava riscatto e risposte positive dall'innesto in squadra dei nuovi arrivi che non avevano preso parte alla gita americana. Poche le indicazioni positive, molte più le note dolenti che oramai da inizio anno solare accompagnano l'equilibrio tattico e l'assetto della squadra neroazzurra. Il Tottenham dilaga, complice l'assenteismo della formazione meneghina nell'ultima mezz'ora: non basta il ritardo di condizione a giustificare il tennistico punteggio finale, non è sufficiente soprattutto a legittimare una squadra che dalla porta a centrocampo stenta a trovare il bandolo della matassa. 

IL REPARTO IN MENO - Difesa e centrocampo raramente hanno reso vane le offensive dei rivali, soprattutto quando Alli, Lamela e compagni si sono scambiati vorticosamente le posizioni sulla trequarti, acuendo le difficoltà di Kondogbia e Brozovic nel trovare la loro posizione sul radar della gara. Puntualmente le offensive del Tottenham hanno colto di sorpresa il pacchetto arretrato di Mancini, che spesso si è trovato a dover fronteggiare la superiorità sugli esterni, arma che gli inglesi non sempre sono riusciti a sfruttare. Il problema non è aver subito sei reti - parte delle quali a briglie oramai sciolte - ma ciò che deve maggiormente preoccupare l'ex allenatore di Fiorentina e City è l'assenza di un'idea di difesa di squadra, di reparto, oltre alla mancanza delle coperture preventive del centrocampo, apparso fin troppo spoglio nel duo franco-croato. Pochi i muscoli in mediana, poca la solidità di un reparto che praticamente mai ha fatto da muro e scudo alla difesa, apparsa inevitabilmente in balia delle offensive della squadra di Pochettino. 

L'UOMO IN PIU' - Nel pomeriggio norvegese, tra le nubi che si fanno sempre più minacciose sulla retroguardia, un raggio di sole che si fa strada nel grigiore ha il nome di Ever Banega, illuminante e radioso dal quarto d'ora in poi del primo tempo. L'argentino è giocatore di livello sublime, di sciabola ma anche di fioretto, e lo si nota nelle verticalizzazioni, nel riconoscere il momento di difficoltà della sua squadra e di abbassarsi sulla linea dei mediani per aiutare i suoi nella fase di ripartenza. Si carica la squadra sulle spalle l'ex Siviglia, lo fa da condottiero navigato, seppur alla prima presenza con i nuovi compagni. Dal suo piede nascono le azioni migliori: il gol, non a caso, e l'occasione nitida per Icardi, che spreca in maniera inopinata. 

Il SOLITO TRENO E IL CAPITANO SPUNTATO - Ciò che ha inoltre sottolineato la sfida di ieri è l'imprescindibilità di un giocatore di fisico, stazza e soprattutto di clamorosa gamba come Ivan Perisic, treno instancabile sulla corsia mancina che da solo, in collaborazione con Banega, ha sostenuto l'Inter nel primo tempo. Il croato non ha bisogno di entrare in forma, lo è sempre, e la falcata è quella solita. Gioiello preziosissimo, soprattutto quando l'Inter si abbassa oltre la linea di metà campo e cerca di ripartire. Alla prestazione dell'esterno croato fa però da contraltare quella del capitano, spuntato e confuso, nelle idee di gioco come quelle sul suo futuro. La prestazione di Icardi è specchio emblematico del momento del centravanti argentino di Rosario, preda di ansie e paure anche nell'atto di chiudere a rete, in quella che dovrebbe essere la sua prerogativa principale. Per il bene suo e dell'Inter, prima si risolverà la querelle legata al suo trasferimento o rinnovo, meglio sarà per entrambe le parti.