Ivan Ramiro Cordoba, ex difensore neroazzurro ed ex dirigente della Beneamata, intervistato dalla Gazzetta dello Sport (parole riportate anche da FcInternews) non nasconde di desiderare un ritorno in società. Ritorno da non escludere secondo alcune voci: "Mi piacerebbe molto poter contribuire al bene della mia squadra del cuore - racconta - con l’ingresso di Suning, ora c’è un inevitabile momento di transizione. Vorranno capire più a fondo le varie problematiche. Io abito a Como e sono a disposizione. Se succedesse, sarebbe bello".
Le prime domande hanno toccato lo scorso campionato e gli obiettivi dichiarati, ma alla fine non centrati da parte della squadra. Qualche parola anche su Roberto Mancini, che il colombiano ha avuto come mister nel suo trascorso da interista:
"E’ stato ed è tuttora un momento particolare per la società. L’acquisto di Thohir, ora la vendita ai cinesi. E’ inevitabile che questo senso di instabilità si sia ripercosso anche a livello sportivo: difficile non avvertirlo pure nello spogliatoio". Poi prosegue con Mancini: "Il mister vuole che le sue squadre giochino quasi a memoria. E nella passata stagione, come si è visto, non c’è mai stata una formazione tipo. Conoscendo Mancini è difficile spiegarselo, perché la sua forza è sempre stata quella di trovare un nucleo di 11-14 giocatori su cui puntare. Evidentemente alcuni di questi elementi non sono stati in grado di dare le risposte che lui si aspettava".
Capitolo mercato con il destino opposto di due ex-canterani neroazzurri ovvero Leonardo Bonucci (forte su di lui il City con 60 milioni) e Mario Balotelli (in uscita dal Liverpool):
"A Bonucci è servita molto proprio la carriera giovanile da noi. Era nella Primavera, era davvero molto bravo. Un peccato che non sia rimasto: il fatto è che nessuno ha colto le sue potenzialità. Gli parlavo spesso e magari l’ho anche aiutato. Ora ha una fiducia nei suoi mezzi smisurata, decisiva per far bene. " Poi per quanto riguarda Mario: "Probabilmente ha avuto sempre un entourage che lo ha consigliato male. Rimane ancora un ragazzino, non è riuscito a fare il cambio necessario nella sua testa. Il talento e basta non è sufficiente, questo ormai è evidente".
Intermezzo con una valutazione sugli allenatori (11 diversi) che più hanno influito sulla sua crescita e con i quali ha lavorato meglio:
"Ho imparato tantissimo da Cuper, Mancini, Mourinho e Leonardo. Mourinho è il più bravo perché ha un metodo che nessuno riesce a duplicare. Tutti possono usare le sue idee tattiche, ma non gestire il gruppo come fa lui. Nel gioco e fuori dal campo. Tutti i suoi allenamenti sono con il pallone, la cosa che piace di più a noi calciatori. E poi ti dà sempre una possibilità, ma ti devi fare trovare pronto. Spesso te ne concede una seconda, insomma, non è uno che ti accantona o ti taglia. Avevamo un ottimo rapporto, di quelli franchi fra uomini veri. Abbiamo anche litigato, ma sapeva che certe mie critiche erano giuste e finiva per apprezzarle".
In chiusura uno sguardo al passato tra gli avversari più tosti ed i momenti più belli di una lunga cariera:
"L’avversario più tosto? Ronaldo, "Il Fenomeno". Imprevedibile. Con lui dovevi indovinare le sue mosse o provare ad anticiparlo. O se no commettere fallo. Molto forte anche Ibra. Ma con la mia rapidità, riuscivo a prendergli il tempo. Ricordo con nostalgia i duelli con Shevchenko".- prosegue - Tra i momenti che non scorderò mai ci sono Il Triplete e il gol decisivo nella finale della Coppa America 2001. Ma fra le emozioni più forti c’è il primo trionfo con le giovanili del Rio Negro, la mia squadra da ragazzino. Avevo 15 anni e non sapevo che cosa significasse vincere. E quando lo capisci non vorresti fermarti più. Non mi sono fermato. Era l’unica cosa che avevo in testa. Mi allenavo più ore di tutti: è così che ho superato compagni magari più dotati di me".