“Voi sapete che le norme generali di tutti gli allenatori del mondo prevedono sempre le stesse formazioni, c’è il 4-3-3 il 4-5-1 o 4-4-2, io invece uso una cosa diversa: il 5-5-5!”
Parafrasando Lino Banfi, e la sua famosa “Bizona”, riusciamo (col sorriso sulle labbra) ad inquadrare alla perfezione la confusione tattica che aleggia su Appiano Gentile da qualche mese a questa parte. L’Inter di Mancini, sin dall’inizio del proprio ciclo, è stata alla ricerca di una identità ben precisa, alternando 4-3-3 e 4-4-2 al più spregiudicato 4-2-3-1. Non sono mancate, come da tradizione, puntatine di difesa a tre ma gli esperimenti hanno avuto risultati altalenanti. La solidità e la concretezza difensiva rappresentavano le fondamenta sulle quali il progetto nerazzurro sarebbe dovuto ripartire ma, evidentemente, il pacchetto arretrato di Mancini aveva il cuore di cartapesta e, alle prime difficoltà, si è ammollato clamorosamente.
La coppia Miranda-Murillo doveva essere il cuore pulsante della nuova Inter, ma gli scivoloni del secondo e le defezioni del primo hanno rallentato vertiginosamente il processo di crescita. Le vittorie (per uno a zero) sono ormai un lontano ricordo e il futuro non appare poi così chiaro. La dirigenza ha assecondato, in lungo e in largo, i capricci del proprio tecnico ma ora la pazienza sembra essersi esaurita. Sia chiaro, il buon Roberto non merita gogne e crocifissioni mediatiche ma di errori ne sono stati commessi fin troppi. Partendo dal principio, siamo proprio sicuri che affidare le chiavi della mediana a Medel e Melo sia stata una buona idea?
Insomma, si è passati da un mostro sacro per tecnica e visione di gioco (Yaya Toure) a due comunissimi “sbrana-caviglie”; probabilmente il peccato è stato commesso a monte. Gli eccellenti risultati avevano nascosto parzialmente i problemi tattici, ma alle prime difficoltà i nodi sono venuti al pettine. A quel punto, né Piero Ausilio né tantomeno Thohir hanno avuto la brillante idea di placare la sete milionaria di Lotito e portarsi a casa un prospetto sicuro come Biglia. L’esitazione ha giocato un brutto scherzo a tutto l’ambiente e, quando si dice che perseverare negli errori è diabolico, non si hanno proprio tutti i torti. I tifosi, increduli per la parabola discendente in atto, non vedono nel nuovo arrivato Eder l’agognato trascinatore verso l’Europa dei grandi: anche la loro pazienza è giunta ai minimi termini.
Nel calcio del nuovo millennio, i centrocampisti hanno un ruolo vitale nella costruzione del gioco. Il centrocampista è colui che detta i ritmi, è colui che sa e vede prima degli altri. Ad Appiano, forse, il concetto non è ancora chiaro. Non manca soltanto un numero 8 (o 4 come preferite) dai piedi buoni, manca un costruttore di gioco, manca il tramite in grado di scatenare la potenza di fuoco degli attaccanti. Mancini, probabilmente, si sarà ripetuto il proprio inventario un miliardo di volte, prima di andare a dormire: Kondogbia? Troppo acerbo e incostante, Brozovic? Tecnico ma carente di ritmo. E allora spazio ad un centrocampo tutto muscoli (e legna) per coprire le spalle ai fantasisti d’attacco. In questo modo, la cavalcata dell’Inter si è arrestata, frutto di una manovra lenta, prevedibile e compassata: i difetti, nella zona nevralgica, mettono a nudo anche le carenze linitrofe. Terzini che spingono (e crossano male), nessuna vera ala di ruolo, attaccanti che si muovono poco e via dicendo…
Anche l’accantonamento in panchina degli slavi ha fatto molto discutere. Ljajic e Jovetic: i gemelli del gol accomunati da una classe tanto incostante quanto sopraffina. Abbiamo passato un inverno intero a decantare le loro gesta e i loro margini di miglioramento, ma con l’arrivo della primavera i due talentini hanno dato inizio al loro letargo. Mancini sembra averli, momentaneamente, messi da parte a causa di necessità prettamente tattiche, ma tra meno di qualche mese bisognerà tirare le somme. Bisognerà decidere se confermarli entrambi (attraverso importanti investimenti) o rispedirli al mittente. In entrambi i casi, le controindicazioni potrebbero essere spaventose.
Quale sarà dunque il volto dell’Inter da qui a giugno? E in futuro? Chi può dirlo, di certo le sensazioni non sono delle migliori. Sembra di essere tornati ad un anno fa quando, esattamente di questo periodo, i nerazzurri sprecarono ripetutamente le loro possibilità di accesso in Champions League. Probabilmente, ora come ora, la situazione è meno drammatica (visto anche l’organico nuovo di zecca) ma l’assenza degli impegni extracampionato deve, necessariamente, portare ambizioni diverse.
La chiave sarà la fiducia completa nelle idee di Mancini, il quale (dall’alto della sua esperienza) sa di cosa ha bisogno la sua squadra. Ma occhio Roberto, giugno è ancora lontano e il paracadute Toure (per l’ennesima volta) potrebbe non aprirsi.